Non deve trarre in inganno la chiusura della prima ottava del 2019. I Mercati sono rimbalzati vigorosamente, dopo giorni di incertezza e cali a volte consistenti, sull’onda di alcune buone notizie provenienti dagli Stati Uniti e dalla Germania relativamente all’occupazione e a motivo della annunciata ripresa del dialogo nei prossimi giorni sul fronte dei dazi. Nelle settimane a venire la volatilità la farà da padrona, anche all’interno della stessa seduta, e non mi sentirei di escludere nuovi minimi delle quotazioni. Alcuni segnali sono inequivocabili e indicano che, se non siamo ancora in prossimità di un “big crash” stile 2008, l’orizzonte prossimo venturo presenta sempre più le caratteristiche di una notevole incertezza, forse preludio di nubi foriere di sorprese piuttosto sgradevoli. La crescita economica cinese, in tutti questi anni vera locomotiva della ripresa mondiale, da un po’ di tempo conferma uno stato di difficoltà a cui poco o nulla ha giovato una politica monetaria alquanto espansiva. Sicuramente ha contribuito al rallentamento il contenzioso commerciale con gli USA, ma forse era fisiologico che dopo anni di corsa sostenuta e ininterrotta, vi fosse la necessità di tirare un po’ il fiato. Trump dà segni evidenti di sbandamento psicologico e strategico, con un turnover di collaboratori che mai si era visto prima e che sicuramente accresce l’instabilità dell’amministrazione; la vittoria dei democratici alla Camera getterà ulteriore benzina in questo clima di conflittualità permanente già evidente fin da inizio mandato. E’ vero che i fondamentali rimangono buoni, ma l’andamento quasi sovrapposto delle curve dei rendimenti a breve e a medio – lungo termine (che statisticamente anticipa l’inizio di una fase recessiva) e le prime crepe sulla corsa ininterrotta dei big della new economy costituiscono una concreta avvisaglia che gli ostacoli sul cammino iniziano a farsi consistenti. In Europa le cose non vanno meglio: gli effetti della Brexit sono ancora tutti da quantificare ma non promettono nulla di buono, le tensioni sociali in Francia sono lungi dall’essere sopite, per non parlare dell’Italia fautrice di una manovra che ipoteca il futuro del Paese per i prossimi due anni, con oltre 50 miliardi di clausole di salvaguardia sul groppone. Se questo è lo scenario, sul quale concordano la maggior parte degli analisti, non deve stupire che sia iniziata in grande stile la corsa ai beni rifugio. Da agosto ad oggi il prezzo dell’oro è aumentato del 10% e gli operatori istituzionali (incluse le banche centrali) ne stanno facendo copiosa incetta. Il consensus parla di un fixing medio nel 2019 ben al di sopra dei 1.300 $ l’oncia. Gran fermento anche sui diamanti, soprattutto della tipologia Fancy, con una domanda molto vivace sia nel settore gioielleria che come asset patrimoniale alternativo. Se il buongiorno si vede dal mattino, l’anno appena iniziato si annuncia particolarmente favorevole per tutti gli investimenti de-correlati dai Mercati finanziari.

Andrea Panziera