A mia memoria non ricordo una scena come quella di martedì 12, protagonista il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. In un’aula semideserta, a manifestare il quasi unanime disinteresse dei membri del Parlamento europeo, l’intervento del Capo del Governo italiano è stato accolto dalle vivaci contestazioni dei pochissimi presenti, senza distinzione di schieramento politico. Il capogruppo dei liberali Verhofstadt, in un italiano perfetto, gli ha chiesto quando smetterà di fare il burattino dei suoi due vice-premier. L’aspetto che più colpisce è l’assenza pressoché totale  degli eletti dei due partiti che sostengono l‘Esecutivo, i quali hanno lasciato Conte da solo a fare da parafulmine al risentimento che la maggior parte degli Stati dell’Ue di questi tempi prova nei confronti del nostro Paese. Anche i rappresentanti del gruppo di Visegrad, a parole nostri amici per assonanza di principi su alcuni temi politici di maggiore attualità (immigrazione, sovranismo), si sono distinti per il loro assordante silenzio, segnale inequivocabile che le ingenti somme di denaro comunitario di cui annualmente beneficiano fanno premio su qualsiasi altra considerazione. Senza tema di smentita ritengo che rappresentazione plasticamente più efficace della nostra emarginazione non potesse andare in onda. A poco serve invitare i c.d. “euro burocrati” a preparare gli scatoloni perché dopo le elezioni del prossimo maggio cambierà tutto: i più recenti sondaggi non paiono confermare questo auspicio e, soprattutto, non sembra proprio che gli eventuali sostituti abbiano una disposizione più favorevole nei nostri confronti. Ho come la sensazione che qualcuno si nutra dell’ebbrezza provocata dai nefasti proclami di un passato che ogni tanto rispunta dai cascami della storia (tanti nemici, tanto onore!), o ritenga che il nostro sempre più palpabile isolamento possa risvegliare l’amor patrio e arrecare reconditi benefici, incurante dei rischi di deriva “tafazzista” che tale velleitaria posizione conduce inevitabilmente con sé. A costoro vorrei modestamente consigliare un maggiore approfondimento storico; quando si parla di splendido isolamento il riferimento è alla Gran Bretagna di un secolo e mezzo fa, ma questa scelta politica aveva una ragion d’essere ben precisa ed era quella di dedicarsi allo sfruttamento delle colonie ed allo sviluppo dei traffici commerciali senza entrare nelle beghe delle altre Nazioni. Le nostre sorti economiche dipendono in una buona parte dagli scambi con i maggiori Stati europei e non pare molto saggio averli tutti contro. Penso già di intuire l’obiezione: nonostante le reiterate querelle di questi mesi le relazioni commerciali non ne hanno risentito in misura rilevante ed anche i capitali stranieri non hanno abbandonato l’Italia. Se sul primo punto al momento posso essere abbastanza d’accordo (rapporti economici e imprenditoriali consolidati da anni vanno avanti a prescindere, magari con marginali rallentamenti) per quanto concerne gli aspetti finanziari ci andrei molto più cauto. Dati recenti di Bankitalia confermano che il nostro saldo negativo nel sistema di pagamenti Target2 (che registra il complesso dei movimenti di capitali in entrata e uscita) è cresciuto soprattutto nell’ultima parte del 2018. . Se fino ad aprile vi era stato un ingresso netto di circa 41,7 miliardi di euro, da maggio a novembre le uscite dai titoli di Stato hanno raggiunto i 77,2 miliardi. Siccome la matematica non è un’opinione, nel complesso lo scorso anno gli stranieri hanno disinvestito circa 36 miliardi di euro da BOT, CCT e BTP. Sempre le statistiche di Banca d’Italia ci dicono che più o meno la stessa somma è rientrata nel nostro Paese sotto forma di impieghi nel settore privato non bancario. In che forma? Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, nonostante la falcidia delle rispettive quotazioni e quindi pur in presenza di prezzi più appetibili, non è confluita nell’acquisto di azioni e obbligazioni ma verso nuovi prestiti. In altre parole, gli operatori/istituzioni stranieri sono stati venditori netti di titoli prescindendo da ogni distinzione sugli emittenti. I capitali in entrata che hanno permesso di compensare quelli in uscita si sono canalizzati in nuovi prestiti, perlopiù con scadenza inferiore all’ anno. Una possibile ipotesi è che, per una serie di motivazioni inerenti il mercato del credito interno, una fetta non secondaria delle imprese private abbia deciso di rivolgersi a Istituti esteri. Non sono ancora disponibili i dati di questo primo scorcio dell’anno ma è altamente verosimile ritenere che la situazione non sia affatto migliorata. Da ultimo, inviterei ad una attenta riflessione anche riguardo al tanto declamato successo delle ultime Aste dei nostri titoli di Stato. E’ vero che il nuovo Btp trentennale ha avuto  richieste per 41 miliardi di euro, e ne sono state soddisfatte solo otto; ma si omette di aggiungere che il tasso di aggiudicazione è stato pari al 3,91%. A parità di scadenza il Bund viene collocato allo 0,75%, il titolo francese all’1,5% e quello spagnolo al 2,50%. Il differenziale di tasso è il costo dell’ipoteca che, grazie alla nostra perdita di credibilità, graverà sul servizio del debito pubblico, quindi sul popolo italiano, per i prossimi 30 anni.
 
Andrea Panziera