Per i non-milanesi, immagino la stragrande maggioranza dei lettori, la traduzione è “pasticciere, fai il tuo mestiere”. L’esortazione ha come intuibile conseguenza che, qualora l’ofelè si voglia occupare di altre attività, rischia quasi sempre di fare pasticci o combinare grossi guai. Sentendo o leggendo su tutti i media i resoconti su l’ormai famoso “affaire diamanti” mi è ritornato in mente questo proverbio, più volte ascoltato durante la mia quarantennale residenza meneghina. Per chi non ne fosse a conoscenza, ma immagino siano ormai in pochi, riassumo brevemente la vicenda. Dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008, ma soprattutto in seguito a quella del tutto endogena del 2011, i principali gruppi bancari italiani, probabilmente alla ricerca di nuovi canali di redditività, hanno iniziato a proporre alla loro clientela l’investimento in uno dei più classici fra i Beni Rifugio, i diamanti. In presenza di una situazione del nostro Mercato mobiliare che definire problematica era più che un eufemismo, l’opportunità di diversificare i propri risparmi in un impiego totalmente de-correlato dagli andamenti di Borsa e per sua natura dotato di un fascino la cui condivisione si tramanda immutata da qualche millennio, appariva una scommessa vincente, a basso grado di difficoltà di persuasione. Come si è realizzata questa iniziativa ? Gli Istituti di Credito hanno concluso degli accordi commerciali con alcune delle principali realtà del settore dei preziosi e da quel momento a moltissimi risparmiatori è stata proposto l’acquisto di diamanti certificati da investimento. Il tutto, supportato da tabelle mensili sull’evoluzione delle quotazioni pubblicate sul principale quotidiano economico italiano a cura dei partner-fornitori delle banche, numeri che avevano lo scopo di validare la congruità del valore delle pietre acquistate. Nei contratti sottoscritti dai compratori era inoltre prevista la possibilità di rivendita dei diamanti dopo un certo numero di anni con garanzia di realizzo quantomeno del prezzo pagato. Perché allora i media parlano di operazione-truffa a danno dei risparmiatori ? Per più di un motivo, anche se in molti casi gli articoli sui giornali e gli interventi televisivi tradiscono la poca o nulla conoscenza della materia, confondendo ad esempio il diamante incolore con la tipologia “fancy” del tutto estranea alla vicenda, con il risultato che il sensazionalismo prevale su quella che dovrebbe essere una informazione corretta e completa. Per conferire parametri e valutazioni certe a scambi la cui origine risale alla notte dei tempi, dal 1978 viene utilizzato in tutte le Borse che trattano diamanti un listino ufficiale denominato Rapaport, dal nome del suo inventore. Le sue quotazioni costituiscono il riferimento adottato da tutti gli operatori professionali per le loro transazioni. Più recentemente, a Tel Aviv, che forse al momento rappresenta la Piazza di negoziazione più importante al mondo, è stato ideato il listino IDEX (International Diamond Exchange), che fotografa il prezzo medio di vendita praticato alla clientela retail. Ebbene, i diamanti acquistati dai risparmiatori presso gli sportelli bancari sono stati pagati all’incirca il triplo delle quotazioni Rapaport e più o meno il doppio di quelle IDEX. Nel momento in cui alcune inchieste giornalistiche hanno portato alla luce questa enorme differenza di prezzo vi è stata la corsa agli sportelli ma i patti di riacquisto previsti dagli accordi contrattuali si sono rivelati per quello che erano, ovverosia promesse scritte sul nulla. Purtroppo in questo come in casi analoghi si tende a fare di ogni erba un fascio, ovvero si imputa al bene oggetto dell’investimento una responsabilità che non esiste. E’ un po’ come se il popolo degli azionisti truffati delle banche andate in dissesto se la prendessero con le azioni e non con chi gliele ha vendute taroccando il loro reale valore. I diamanti, così come l’oro e alcuni altri beni rifugio, non si acquistano perché garantiscono un reddito periodico certo bensì in quanto da oltre 2000 anni esercitano una funzione importantissima di tutela del patrimonio in periodi di pesanti crisi politiche o finanziarie e presumibilmente continueranno a farlo anche in futuro. Soprattutto, il loro orizzonte temporale è il lungo termine e quindi i benefici vanno valutati in quest’ottica. In alcune recenti trasmissioni televisive ho visto che le banche, peraltro già oggetto di numerose azioni giudiziarie da parte di Associazione dei Consumatori, stanno cercando di sminuire le loro evidenti responsabilità, derubricando il ruolo avuto nella vicenda ad una marginale attività di consulenza. Le Autorità preposte accerteranno come si sono svolti i fatti, ma due domande meritano da parte loro risposte solerti e non evasive: se una Istituzione che gestisce i quattrini delle persone si imbarca in una attività di intermediazione o di consulenza su investimenti che non costituiscono il suo core business, ha o no il dovere di informarsi in modo adeguato ? chi e in che misura ha beneficiato delle colossali differenze fra i prezzi di mercato e quelli di vendita alla clientela ?
Andrea Panziera