di Mariapia De Carli 

 
Quando il nostro benessere vacilla e cominciamo a essere infastiditi da sintomi mai sperimentati, è del tutto legittimo approfondire la situazione con visite o esami medici. le cose cambiano parecchio se, però, la preoccupazione per il proprio stato di salute diventa un’ossessione; e se anche di fronte all’evidenza di un responso rassicurante o test “negativi” si continua a pensare di essere afflitti da qualche misteriosa malattia e certo fatale. Il rischio, in questo caso, è che la normale preoccupazione per le proprie condizioni degeneri in ipocondria o patofobia, un disturbo psichico caratterizzato, oltre che da uno stato di apprensione eccessivo riguardo alla salute, dalla certezza che ogni sintomo avvertito sia la spia sicura di gravi patologie. Il paziente ipocondriaco si distingue per l’atteggiamento disfunzionale che finisce con il compromettere la sua quotidianità. Il suo disturbo, infatti, lo porta a perdere la lucidità e a rinunciare a molte delle attività abituali per paura che possano peggiorare il suo stato di salute. I pensieri legati alle sue condizioni fisiche risultano inoltre ossessivi e intrusivi e, spesso, si traducono in un comportamento delirante che non tiene conto di dati di realtà incontrovertibili come il buon esito di visite o test clinici. Tutto questo fa sì che molte persone che soffrono di ipocondria, a causa di un “effetto rebound”, finiscano con l’ammalarsi veramente. Molti pazienti ipocondriaci, oltre che entrare e uscire dagli ospedali, provano uno stato di preoccupazione e apprensione tale da abbassare realmente la loro soglia del dolore, al punto da creare dal nulla un sintomo. A tutto questo si aggiunge un innalzamento dei livelli di stress che può avere effettive ripercussioni sul sistema immunitario, abbassando le difese naturali dell’organismo. Il pericolo è, dunque, che dal semplice malessere di tipo psicosomatico si arrivi a un disturbo organico. Un tempo l’ipocondria colpiva più le donne, mentre oggi sono gli uomini ad essere particolarmente vulnerabili, perché i cambiamenti sociali che hanno scandito gli ultimi decenni li hanno portati a una crisi d’identità che fa sì che alcuni di loro ricorrano alla malattia immaginaria come a uno strumento per ritrovarsi, per illudersi di recuperare, almeno in parte, l’immagine di sé. Come tutti i disturbi psichici, tuttavia, anche l’ipocondria o patofobia è determinata da più fattori. Di solito le persone ipocondriache hanno sviluppato fin dall’infanzia un problema di dipendenza affettiva: sono dunque inclini a far sì che qualcuno si prenda cura di loro e faticano ad instaurare legami sociali ed affettivi perché costantemente ripiegati su un atteggiamento di introspezione rimuginativa. A questi tratti si possono aggiungere rigidità, perfezionismo e una grossa difficoltà a lasciarsi andare ai piaceri e a esprimere le proprie emozioni. Non è un caso che molti sintomi avvertiti da pazienti ipocondriaci coinvolgano l’apparato gastrointestinale, definito il nostro “secondo cervello” dove le emozioni vengono convogliate. Il radicarsi della patologia finisce con il peggiorare la situazione. Il contatto con gli altri viene vissuto dall’ipocondriaco come un pericolo (chiunque potrebbe portare contagio); per non parlare della sessualità che, anziché  una prospettiva di piacere e di arricchimento assume le vesti di una minaccia.. Come aiutare una persone a uscire da questo tunnel? In alcuni casi, innanzitutto, può essere utile intervenire con antidepressivi o ansiolitici prescritti da uno psichiatra. Di pari passo è possibile agire con una psicoterapia integrata, che associ un percorso di tipo cognitivo-comportamentale una terapia emozionale – correttiva con lo psicoterapeuta. Ciò significa che si lavora sulla eliminazione concreta dei gesti e delle ritualità che interferiscono con la vita quotidiana e sulla consapevolezza di sé. Si impara perciò a prendere consapevolezza della propria corporeità, del respiro e di semplici sensazioni. Può essere utile, infine, completare il lavoro con un “addestramento pratico” che distolga il paziente dalle abituali preoccupazioni e lo faccia concentrare su altri traguardi che procurino piacere e soddisfazione.