di Andrea Panziera.

Avevo più o meno 7 anni quando ho visto in un grande stadio la mia prima partita di calcio. Erano gli inizi dell’avventura di quella squadra che poi sarebbe passata alla storia sportiva come “la grande Inter”. Ricordo ancora la formazione: Buffon, Burgnich, Facchetti, Tagnin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Hitchens, Suarez, Corso. Mi innamorai subito di quei colori, di quei giocatori, che tante gioie mi avrebbero dato negli anni successivi. Scudetti, Coppe dei Campioni, Coppe Intercontinentali, incontri memorabili vissuti a San Siro o alla tv rigorosamente in bianco e nero con l’immancabile commento di Nicolò Carosio. Ovviamente non solo gioie ma anche cocenti delusioni e, qualche anno dopo, la percepibile sensazione che la cavalcata volgeva al termine ed i miei eroi iniziavano a sentire il peso degli anni e il naturale appagamento delle vittorie. Non ho mai smesso di seguire il calcio, anche se la passione che si prova da bambini è cosa diversa da quella in età adulta. All’epoca ero portato a giustificare tutto ed a vedere il bello e il buono solo nei miei idoli, oggi la razionalità spesso fa il paio con la partecipazione emotiva del tifoso e così riesco ad essere un po’ più obiettivo e, quando serve, critico. Ultimamente ,ahimè , serve abbastanza spesso. Proprio questo mutamento di “sentiment” mi permette di valutare con discreta equità anche gli altri, gli avversari. Per qualche scalmanato sono i nemici, ma prefigurare una partita come una sorta di contesa belluina, quasi si trattasse di una guerra che ogni volta necessita delle sue vittime mi sembra , per dirla alla milanese, l’apogeo della pirlaggine. Proprio in questa veste di tifoso non fanatico ho seguito la vicenda Gattuso. Nel cuore di molti interisti il Milan da tempo, nella classifica dell’antipatia, è stato soppiantato dalla Juve e nel derby della Madonnina la mescolanza fra rossoneri e nerazzurri è prassi abituale. Ho ammirato l’indomito Gattuso da calciatore, invidiandone la grinta, ed in egual modo lo sto apprezzando da allenatore. In quel mondo mai sazio di denaro in pochi avrebbero rinunciato volontariamente a 5 milioni di euro per divergenze tecniche sul futuro della squadra, ponendo come unica condizione che il suo staff percepisse tutto quanto gli spettava. E questo dopo una stagione che per il Milan è stata tutt’altro che negativa. Chapeau Ringhio, il tuo esempio non verrà seguito dalle schiere dei tatuati che popolano i campi di calcio, dalle wags con il “lato b” sempre in bella evidenza sui social, dai presidenti improbabili e fumantini e dai procuratori avidi e trafficoni. Fattene una ragione e vai avanti così, perché il tuo gesto fuor di ogni dubbio anche per gli avversari porta il crisma della persona perbene.