La nube temporalesca del Coronavirus, man mano che passano i giorni, sta divenendo una perturbazione sempre più intensa. Come ne uscirà la nostra economia?

Di: Andrea Panziera

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Mi credano i lettori, non sono affatto contento di aver previsto nel mio ultimo editoriale quanto sarebbe successo di lì a pochi giorni. E non parlo solo dell’andamento decisamente negativo delle Borse e dei Mercati Finanziari in generale, in primis di Piazza Affari, ma non solo. Man mano che passano i giorni, la nube temporalesca si sta palesando come una perturbazione sempre più intensa. Per quanto riguarda gli esiti, qualcuno non si tira indietro dal paragonarla a un tornado.

Tralascio di affrontare la questione delle conseguenze del Covid 19 sulla salute dei cittadini, che paiono commentarsi da sole. C’è chi sottolinea con pervicace accentuazione, quasi con enfasi, che i deceduti sono soprattutto persone anziane alle prese con altre patologie. Confesso di provare enorme fastidio quanto sento questo leit-motiv, quasi come se si parlasse non di esseri umani, ma di merce avariata la cui dipartita provoca implicitamente meno dolore per questa loro oggettiva precarietà. Mi si perdoni, ma ritengo che tutti meritino eguale rispetto. Soprattutto per le famiglie e le comunità che ne sono colpite, non si può sottintendere che esistano morti di serie A e  morti di serie B.

L’impatto del Coronavirus sul sistema economico globale e nazionale

Vengo ora all’impatto del Coronavirus sul sistema economico globale e nazionale, sebbene il rischio sia quello di anticipare conclusioni e/o effettuare previsioni che allo stato delle cose possono rivelarsi improbabili o inutili.

Parto da quanto è sotto gli occhi di tutti. Alcuni settori sono in ginocchio, nello specifico quello dei trasporti, quello del turismo e di tutte le attività collegate, leggi HoReCa, manifestazioni, eventi culturali, etc. In alcune località come Venezia e Milano si registrano disdette nell’ordine del 90% ed oltre. Soprattutto per gli esercizi meno attrezzati, il perdurare dell’attuale situazione metterebbe a rischio la loro stessa esistenza e il posto di lavoro dei rispettivi dipendenti.

Pensiamo poi per un momento ai casi Alitalia ed Air Italy: a chi possono interessare due aziende in agonia conclamata che operano nel trasporto aereo, comparto in crisi profonda in tutto il mondo? Oltre a questi esempi arcinoti ne esistono molti altri di imprese in difficoltà non solo nel settore dei servizi, ma anche in quello manifatturiero. Molti media hanno ripreso il caso della MTA di Codogno, azienda produttrice di componentistica micro-elettronica per le automobili. Tra le altre, essa rifornisce anche BMW e Renault. Per come si configura la catena del valore nell’epoca della globalizzazione, la chiusura degli impianti nel paese lombardo causa un’interruzione della produzione in molti stabilimenti di queste multinazionali.

Un problema nel problema

Casi come questo sono abbastanza numerosi. Alla luce della struttura economica del nostro Paese, questi coinvolgono molte PMI italiane, mentre nel contempo è logico ipotizzare l’estrema difficoltà per una grande società a valle della filiera la risoluzione in tempi brevi del problema che si è creato a monte. La peculiarità di questa crisi sta proprio in questa sua dicotomia: essa incide pesantemente da un punto di vista della domanda, ma ha anche risvolti molto profondi – e probabilmente non di brevissimo termine – da quello dell’offerta.

Problema nel problema: stante questa situazione, il rischio è che le politiche convenzionali di stimolo all’economia, sia di tipo monetario (aumento dell’offerta di moneta) che fiscali (riduzione delle imposte), si rivelino tragicamente inefficaci ed abbiano come risultato più probabile un aumento dei prezzi in una situazione di stagnazione, se non, come in Italia, di quasi certa recessione.

In questi giorni si sentono le proposte più disparate, alcune mirabolanti nei loro eccessi quantitativi. Bisogna iniettare nel circuito economico decine di miliardi per scongiurare una recessione ormai quasi certa. Chissenefrega dei vincoli europei, del Patto di Stabilità, del deficit e via discorrendo.

Mi sia consentito di porre sommessamente alcune domande: dove troviamo queste risorse, se non emettendo nuovo Debito Pubblico? Fino a che punto siamo disposti a spingere lo spread pur di invogliare gli investitori ad acquistare i nostri BTP? Ammesso e non concesso che esistano risposte razionali e risultati sostenibili alle questioni di cui sopra, per quali scopi usare questi quattrini in una situazione di grande incertezza che notoriamente spinge privati ed imprese verso la cosiddetta “preferenza per la liquidità”, piuttosto che verso attività finanziarie, nuovi consumi ed aumento degli investimenti? Chi deve e può dia risposte credibili, no fuffa ad usum delphini.