Tempi e modalità di uscita dalla crisi, la questione della manodopera agricola, soluzioni e problemi: altre domande in tempo di Covid

Di: Andrea Panziera

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Pare che la permanenza domiciliare forzata sia prossima al termine. Non sono assolutamente in grado di fornire giudizi scientifici in merito alla bontà e razionalità di questa scelta; mi rimetto alle decisioni di chi ci governa, sperando di non trovarci in una situazione ancor peggiore fra qualche settimana. Conciliare la tutela della salute con la necessità di una ripresa delle attività economiche è questione non più eludibile. E molto dipenderà anche – e soprattutto – dalla responsabilità dei singoli.

In questi giorni di reperibilità coatta mi sono state rivolte da amici, conoscenti e studenti molte domande su alcuni macro-argomenti. Alcune riguardavano i tempi e le modalità di uscita dalla crisi, ovvero il futuro prossimo venturo del nostro Paese; altre, più specifiche e mirate, attenevano a temi particolari di strettissima attualità.

Tempi e modalità di uscita dalla crisi

Relativamente alle prime, il mio pensiero si può desumere dai precedenti contributi pubblicati su questo giornale. In estrema sintesi, la risposta è la seguente: i prossimi mesi saranno particolarmente difficili per la gran parte dei cittadini e degli operatori economici, anche se la crisi non ha colpito tutti allo stesso modo e alcuni settori ne hanno tratto addirittura giovamento. Ci aspetta una fase recessiva che probabilmente scavallerà l’estate. E il tanto agognato rimbalzo, incrociando le dita, inizierà a materializzarsi verso fine anno, da noi come in buona parte dei Paesi occidentali.

Queste considerazioni mi fanno trovare un po’ surreale la discussione sull’utilizzo o meno di qualsiasi strumento finanziario di sostegno alla ripresa, in particolare di quelli disponibili a breve termine. La liquidità serve hic et nunc, soprattutto se è a un costo prossimo allo zero. Chi afferma il contrario espliciti chiaramente le sue proposte operative attivabili fin da subito e ne dimostri la praticabilità e l’efficacia.

Qualcuno pone in evidenza il forte recupero dei Mercati borsistici, soprattutto negli USA, che anticiperebbero il trend dell’economia reale. Siamo in presenza di un mare di liquidità che le Banche Centrali hanno iniettato nel sistema, come mai prima nella storia si era verificato. Vedremo se la cura alla lunga funzionerà o se invece provocherà effetti perversi, come ad esempio la formazione di nuove bolle speculative dagli esiti imprevedibili.

Questioni più specifiche

Vengo ora ai quesiti più mirati. Fra i tanti ne scelgo uno, molto specifico e di cui peraltro si sta dibattendo in queste ore. Una questione a mio avviso meritevole di un’opinione che sento di poter esprimere in forza di una expertise e/o conoscenza diretta delle relative tematiche. Mi riferisco alla proposta di regolarizzazione della manodopera agricola stagionale. Premetto che si parla di permessi di soggiorno di tre-sei mesi, eventualmente – ma non automaticamente – rinnovabili.

Prima di ogni altra considerazione, è come al solito necessario partire dai numeri, con un dato imprescindibile. In Italia, i lavoratori stagionali con un contratto a tempo determinato sono circa il 90% degli occupati del settore primario. Questo valore si riferisce all’occupazione legalmente disciplinata e non comprende gli irregolari, numerosi soprattutto – ma non solo – nel Meridione. Un po’ più della metà sono extracomunitari, ma molto forte è la presenza di manodopera proveniente dall’Est Europa, Polonia e Romania in primis. Il loro impiego non è limitato a uno specifico periodo dell’anno, bensì è correlato con la differente stagionalità dei prodotti. Questo implica una costante continuità del fabbisogno di manodopera, pur con evidenti picchi da marzo/aprile fino a inizio novembre.

Il Governo, con il decreto “Cura Italia”, ha prorogato fino al 15 giugno la validità di tutti i permessi di soggiorno in scadenza, di modo che chi si trova già sul territorio nazionale possa rimanervi fino a quella data. Tale misura risolve però solo in parte il problema; rimangono infatti esclusi tutti quei lavoratori, soprattutto dell’Europa Orientale, che si trovano bloccati nel loro Paese e non possono rientrare da noi. Di conseguenza, il fabbisogno di lavoro delle aziende agricole rimane insoddisfatto.

Due possibili soluzioni

Per ovviare a questa situazione si prospettano due possibili strade: 1) concedere permessi per un tempo limitato a forza lavoro irregolare già presente sul territorio, misura che servirebbe anche come strumento di prevenzione igienico-sanitaria e, parallelamente, trattare con Polonia, Romania, Moldavia, etc. l’apertura dei c.d. “corridoi verdi” per il rientro degli stagionali provenienti da quegli Stati, opzione già prevista e autorizzata dalla Commissione europea; 2) utilizzare prioritariamente connazionali rimasti disoccupati a causa della crisi.

Questa seconda ipotesi, teoricamente percorribile, si scontra con difficoltà oggettive di non agevole superamento, ammesso e non concesso che i candidati abbiano l’intenzione (e, aggiungo, la resistenza fisica) per accettare l’esercizio di lavori molto faticosi e non particolarmente remunerativi. L’esperienza di altri Paesi ha dimostrato che in queste eventualità si registrano cali vistosi di produttività e quindi sono gli stessi datori di lavoro a preferire altre vie. Inoltre, in Italia è fatto divieto di cumulare cassa integrazione con una qualsiasi forma di retribuzione.

Altri strumenti, come l’utilizzo dei voucher, risolverebbero solo una parte del problema. E allora? aldilà di ogni considerazione di tipo etico, sociale o, visti i tempi, di prevenzione medica, ho la sensazione che la questione abbia perso qualsiasi valenza economica e si stia giocando tutta sul terreno della politica. Consiglio vivamente agli attori/giocatori, prima di esprimere opinioni e proposte avventate o supportate solo da palesi connotazioni ideologiche, una sana sperimentazione sul campo, non solo in senso letterale. Molti ne trarrebbero sicuro beneficio, soprattutto in termini di risparmio adiposo.