Jacquelyn Wagner: “Adoro Fiordiligi, è una ragazza che prova molte emozioni, ma sono innamoratissima anche di Arabella”. “Mimì è sempre stupenda da cantare, ma anche una donna forte come Giovanna d’Arco, e Violetta, fuoco e morte che porta nel suo viaggio d’amore”

Intervista di Roberto Tirapelle

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Jacquelyn Wagner, soprano di origine americana, è ormai richiesta nei maggiori teatri d’Europa, tanto hanno valso anche gli apprezzamenti dei più importanti giornali. Tra tutti, “il suo bel suono pulito e concentrato” (The New York Times), oppure “il suo tono argenteo”, “una naturale dignità che rendono le sue esibizioni altamente degne di nota” (Opera news).

Abbiamo avuto l’occasione di raggiungere la Signora Wagner (presente anche in Italia con due allestimenti a Milano, Teatro alla Scala nel 2017 e nel 2018), per approfondire la sua interessante carriera molto legata al repertorio tedesco, ma che ha toccato pure i più popolari compositori italiani. E non ci è sfuggito l’aspetto che un artista americano possa penetrare così intensamente Strauss, Wagner, Mozart, Beethoven, Webern.

L’intervista a Jacquelyn Wagner

“Così fan tutte”, Köln, Fiordiligi (Cr. ph. Paul Leclaire)

Signora, come è nata la sua vocazione per l’opera lirica?

“Ho sempre cantato da piccola, e avevo un’ottava acuta in più rispetto ai miei compagni di classe. Cantare mi piaceva più di ogni altra cosa durante tutta la mia infanzia e i miei genitori mi hanno sempre trovato degli ottimi maestri, che mi hanno aiutato a sviluppare la voce in qualcosa che potesse diventare una possibilità per una professione. Ho sempre voluto esser una cantante; quindi, con la possibilità che i miei genitori mi hanno fornito, il sogno di cantare, con l’assistenza e l’aiuto di Dio, è diventato in seguito realtà. Una realtà di cui sono estremamente grata”.

È cresciuta come cantante prima in America e poi in Germania. Ha trovato delle differenze di scuola o di tradizione?

“Ho completato tutti i miei studi negli Stati Uniti. Ho ricevuto una borsa di studio a Colonia dopo aver completato il Master’s Degree. Per tre mesi ho studiato i lieder tedeschi. Ma dopo ho cercato da sola altri insegnanti per studiare canto. Adesso studio privatamente con una cantante americana, Deborah Polaski.

Le differenze fra le mie lezioni americane e quelle tedesche non erano poi così diverse. Ho notato che c’era un approccio differente, ma non enorme come forse ci si poteva aspettare. Si trattava di alcune aspetti. Per esempio, il testo ricopriva un’enorme importanza per il mio insegnante a Colonia. In America ci si concentrava di più su come produrre il suono per un sano flusso vocale verso il testo, ma con il suo approccio erano più importanti il colore e il significato delle parole”.

In Germania si è specializzata in alcuni ruoli iconici di opere di compositori come Wagner, Strauss, Mozart. Su questi tre autori singolarmente che personaggio le dà più soddisfazione, sia come vocalità che come storia?

“Non credo di essere una specialista in alcun repertorio, ma è vero che mi chiamano a cantare molto Mozart e ancor di più Strauss e Wagner. Di Strauss e Wagner ci sono così tanti ruoli che non ho ancora cantato e che probabilmente non canterò mai (per esempio Elektra o Brünnhilde). Ma mi dà davvero piacere esplorare i ruoli che posso cantare oggi. Mozart mi ha offerto una grande base preparatoria per Wagner e Strauss, solo perché richiede un controllo purissimo, consistente e omogeneo delle frasi. Usar tutto questo nelle opere di Strauss e Wagner non può che renderti il tutto più facile da cantare!

Riguardo al personaggio che mi piace di più, è una scelta difficile. Adoro cantare Fiordiligi in “Così fan tutte” perché è una ragazza che prova molte emozioni nel corso dell’opera, stupendamente descritte nelle sue arie e duetti. Ma sono anche innamoratissima dell’Arabella di Strauss. Anche lei prova così tante emozioni, anche se alla fine dell’opera non cambia come Fiordiligi. Ma la sua storia d’amore mi commuove moltissimo e mi dà
molta soddisfazione tornare alla fine dell’opera e dire ‘Prendimi per come sono’. Adoro i lieti fini!”.

“Arabella” alla Dutch National Opera di Amsterdam, 2013 (Cr. ph. Monika Rittershaus)

Inoltre, si è dedicata all’opera italiana, in particolare a Verdi e Puccini. Anche in questo caso, che ruoli l’hanno affascinata maggiormente?

“Beh, la classica Mimì è sempre stupenda da cantare, e ha momenti così meravigliosi che sarei tentata di dire Mimì per quel motivo. Penso comunque che mi piaccia cantare una donna un po’ più forte, come Giovanna d’Arco. Interpretare un ruolo di una persona vissuta realmente, che aveva tali convinzioni e che non ha mai vacillato in quel che credeva fino alla morte, è davvero potente. E anche Violetta in Traviata è bellissima. Il fuoco che può portare al suo viaggio d’amore e poi di morte è estremamente commovente e molto soddisfacente da vivere con lei nel corso dell’opera. Il genio di Verdi e Puccini rende davvero difficile scegliere un ruolo preferito”.

Recentemente ha fatto il suo debutto nel ruolo di Alcina di Handel e ha ricevuto recensioni entusiasmanti. Quanto è difficile cantare uno dei più complicati ruoli del repertorio barrocco, avendo anche in repertorio ruoli verdiani, di Wagner, Puccini, Strauss, ecc?

“All’inizio ho provato ad avvicinarmici nello stesso modo in cui approccerei qualsiasi ruolo di Mozart o Strauss – moltissime frasi lunghe, enfasi sul controllo del fiato, e cercando al contempo estrarre il colore che richiede la musica barocca. Ma dopo alcune prove mi sono accorta che mi era permesso di cantare molto più piano più spesso che nel grande repertorio. E anche esser in grado di poter cambiare l’ornamentazione quasi a ogni prova è stata una sensazione di grande liberazione. Ma la cosa più grande di cui dovevo ricordarmi quando non stavo cantando Alcina era di non ridurre eccessivamente suono e sentimenti, ma di ricalibrare il suono. Del resto, lo avevo preparato come se fosse un qualsiasi altro ruolo del repertorio standard; per cui, ritornare ad altro materiale non è poi risultato così difficile come temevo”.

Veniamo all’Italia. Lei ha cantato a Milano alla Scala, prima nel 2017, nei Maestri cantori di Norimberga, poi nel 2018 nel Fidelio. Può raccontarci qualcosa sulla sua esperienza milanese e sui ruoli che ha ricoperto?

“Fidelio” a St. Gallen, 2018 (Cr. ph. Toni Suter)

“La cultura italiana e la vita milanese mi hanno totalmente affascinata, come una magia! L’operosità delle strade di mattina, tutti quegli uomini vestiti nei loro perfetti abiti italiani e il vedere la vita svolgersi in un modo completamente diverso da New York o Berlino o persino Parigi era così bello! La vita corre in fretta, ma allo stesso tempo c’è la sensazione che tutti abbiano tempo almeno per un caffè al bar all’angolo o per fermarsi e parlare con un amico. E anche i suoni e gli odori della città sono qualcosa che mi dava piacere! Il cibo è ovviamente fantastico, ma quel che mi piaceva di più era stare seduta al bar a guardare scorrere lo stile di vita italiano. Così affascinante! Spero davvero di tornare presto, ho davvero amato il tempo che ho trascorso in Italia!

Anche i ruoli che ho cantato alla Scala erano speciali. Erano i miei primi ‘Maestri cantori’ e quindi per me si trattava di un evento importante. Ma il cast, tutte le maestranze e gli assistenti sono sempre stati così fantastici! Mi sono sentita subito a casa, lo apprezzavo moltissimo. Per Fidelio è stato un po’ diverso. Non ho avuto il lusso di stare molto a Milano prima di arrivare a sostituire la titolare del ruolo di Leonore quando non ha potuto cantare e quindi non ho avuto modo di conoscere tutti a lungo, come succede solitamente quando si prova un’opera del genere.

In ogni caso, non avrei potuto avere una squadra migliore di assistenti ad aiutarmi per questa sostituzione dell’ultimo momento. Sono tutti dei grandi professionisti, così preparati e così devoti al loro lavoro che io ho solo dovuto prepararmi a salire sul palcoscenico e ricordare le direzioni sceniche. Mi hanno aiutato in ogni dettaglio per far sì che le recite si svolgessero senza problemi. Sono molto grata di questo e anche per il tempo breve ma meraviglioso di cui ho potuto godere di nuovo a Milano”.

Le piacerebbe cantare un musical o portare una composizione di un autore contemporaneo in un teatro americano?

“Devo essere onesta, non sono cantante di musical. Non so come si canti con il tipico Broadway belt come fanno i cantanti di musical né come cantare così tante recite come fanno loro. E quindi lascio i musical ai professionisti! Ma mi piacerebbe cantare in America qualcosa scritto da un compositore contemporaneo. C’è davvero molta bella musica scritta negli ultimi anni e deve esser davvero entusiasmante esser coinvolta in
un simile evento”.

Le piacerebbe ritornare in Italia, magari in Arena, a Verona?

“Certo che mi piacerebbe! Adoro l’Italia! Ogni esperienza avuta in Italia, professionale o personale, è stata magnifica. Adoro la gente, la cultura, le sensazioni che ti danno le diverse zone del paese, la lingua e in generale il modo in cui si godono la vita. E perché no, a Verona? Molti anni fa, quando venni in Italia per un programma estivo a Spoleto mentre studiavo ancora in America, io e alcuni amici siamo andati peruna sera a Verona per vedere Il trovatore. Rimasi sbigottita di fronte a tutto quel che vidi e all’acustica che porta le voci senza problemi fino in cima alle gradinate, dove ero seduta io! Se ne avessi l’opportunità, la coglierei subito!”

Si ringrazia Tim Weiler, O-PR Communications