“Padrenostro” di Claudio Noce, un film che affronta il trauma del regista attraverso il racconto autobiografico. Protagonisti d’eccezione gli attori Pierfrancesco Favino, Mattia Garaci e Francesco Gheghi

Intervista di: Roberto Tirapelle

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Il soggetto

Roma, 1976. Valerio ha dieci anni e una fervida immaginazione. La sua vita di bambino viene sconvolta quando, insieme alla madre Gina, assiste all’attentato ai danni di suo padre Alfonso da parte di un commando di terroristi. Da quel momento, la paura e il senso di vulnerabilità segnano drammaticamente i sentimenti di tutta la famiglia. Ma è proprio in quei giorni difficili che Valerio conosce Christian, un ragazzino poco più grande di lui. Solitario, ribelle e sfrontato, sembra arrivato dal nulla. Quell’incontro, in un’estate carica di scoperte, cambierà per sempre le loro vite.

L’intervista esclusiva a Claudio Noce

Cr. ph. La Biennale di Venezia/Asac
Innanzitutto, lei era già stato presente a Venezia con la sua opera prima?

“Sì, ero stato scelto per la Settimana della Critica di Venezia con Good Morning Aman nel 2010. Il film era stato accolto molto bene e ha fatto un bel percorso”.

Veniamo a Padrenostro: come è riuscito a dividere la storia famigliare dal racconto cinematografico?

“In realtà, il desiderio di raccontare questa storia, che per me è anche un tuffo all’interno di un trauma che ha segnato la mia vita famigliare, dura da molto tempo. Forse da quando ho cominciato a raccontare delle storie attraverso il cinema. Ovviamente, però, avevo bisogno di sapere come raccontare questa storia, quale fosse il punto di vista giusto della narrazione.

Nel momento in cui questa storia poteva essere una lettera a mio padre, dove le parole inizialmente fossero parole private, ma poteva essere anche una lettera al padre come figura universale, allora ho capito che potevo cominciare. E, soprattutto, che il punto di vista doveva essere, almeno per una porzione della storia, una angolazione molto rigorosa, quella di uno sguardo dell’infanzia, uno sguardo di un bambino su quel trauma e quella voglia di avvicinarsi al padre attraverso questo percorso del dolore. Tutto ciò è divenuto realizzabile quando ho trovato una chiave magica, che è quella dell’amicizia e quindi del realismo magico, cioè attraverso l’incontro di Valerio (mio fratello) con Cristian”.

Da sinistra, Mattia Garaci, Claudio Noce, Lea Favino e Francesco Gheghi. Cr. ph. Ciak
È stato un percorso doloroso riaprire la ferita? Realizzando il film, è riuscito in qualche modo a guarirla?

“Sicuramente è stato un percorso doloroso. Non so ancora se sono riuscito a guarirla, perché è troppo presto. Però è stato un percorso meraviglioso, bello, fatto con persone che mi hanno aiutato, con una troupe meravigliosa che capiva perfettamente quello che stavo facendo. Sono stato circondato da persone super professionali, che però avevano uno sguardo particolare verso questo film”.

Quindi, intorno al set e alla produzione ha trovato partecipazione, calore?

“Assolutamente sì ed è stata proprio quella la chiave: perché, quando si fa un film, ci sono delle regole, dei ritmi; però ho percepito che intorno c’era gente che aveva perfettamente chiaro il percorso che stavo facendo non solo come regista, ma anche come uomo”.

Quanto è durato il progetto? E la realizzazione?

“Per quanto riguarda lo sviluppo del progetto, da quando ho cominciato a scrivere la prima parola fino all’uscita del film sono passati più di tre anni. Ovviamente, in mezzo ho fatto altre cose, due serie tv, poi Pierfrancesco era impegnato su altre cose e ha fatto anche il produttore. Comunque, i tempi dei film sono lunghi; tuttavia, mi sono reso conto che più passava il tempo, più la direzione era quella giusta”.

Cr. ph. Ciak, Maurizio D’Avanzo
Perchè ha scelto Favino?

“Lo conoscevo da alcuni anni. Quando ho pensato a lui, mi ricordava quell’uomo che volevo raccontare, il padre che volevo raccontare. Oltre al fatto che è l’attore più bravo che abbiamo in Italia. Pierfrancesco, inoltre, si è appassionato al progetto al punto che, quando ci siamo visti per parlare del film, abbiamo parlato invece per un’ora dei nostri padri”.

Oltre ad affrontare il tema della paura, dell’infanzia, a mio parere il film è un’opera fatta di silenzi, di segni, di disegni. Cosa ne pensa?

“Assolutamente sì. I silenzi hanno a che fare con la storia rispetto al fatto che in quei momenti si raccontano percorsi emotivi (Valerio). Il disegno è l’elemento che abbiamo deciso di mettere dentro alla sceneggiatura perché aveva a che fare con il ricordo e con il modo in cui mio fratello affrontava il suo dolore, la sua solitudine. Poi, è simbolicamente un mezzo molto efficace da fare arrivare allo spettatore”.

È stato suo fratello ad assistere all’attentato: poi le ha raccontato qualcosa?

“Certamente. Mio fratello quella mattina era in casa con mia madre e ha visto tutta quella scena che viene raccontata nel film. È un momento che nel film è stato riprodotto molto fedelmente. Io racconto una generazione di bambini che a me piace chiamare invisibili: eravamo noi. Valerio è come fosse quasi invisibile. Includiamo nella storia quello del non detto e del non visto. I genitori pensano che non abbia visto nulla fino al momento in cui lui disegna il fatto, che è un momento rivelatore”.

Come siete riusciti a scegliere i due ragazzi, Valerio e Christian?

“Abbiamo fatto delle audizioni molto lunghe profonde: la mia casting Sara Casani ha visto 400 ragazzini, io un po’ meno. Poi, sono arrivati loro due, con due approcci molto differenti anche nei recitativi. Valerio (Mattia Garaci) è un piccolo attore, nel senso che ha la disciplina dell’attore vero; Christian (Francesco Gheghi) è più selvaggio, mette in campo la sua verità, che è molto vicina al personaggio”.

Penso che, come uomo/regista, due scene siano state difficili da realizzare: la ricostruzione dell’attentato e quella del disegno di sul luogo che ne fa Valerio

“Si, molto difficile da realizzare. Mi ha coinvolto e ho dovuto fare un percorso di rimozione, nel senso che dovevo avere un approccio freddo. Inoltre, avevo bisogno di girarla in maniera molto tecnica, come una vera scena d’azione, quindi mi sono preso un tempo, ho riletto i giornali dell’epoca e ho ristabilito la dinamica di quello che era successo. Il disegno è il momento in cui Valerio può raccontare finalmente a qualcuno quello che ha visto e liberarsi di una parte di quel trauma, di quel dolore”.

L’abbraccio finale dei due ragazzi/uomini può avere un senso di pacificazione?

“Come messaggio del film, mi interessa quel tipo di emozione. Un film sul padre, due personaggi alla ricerca spasmodica del padre. Quella generazione ha subìto una guerra involontaria, non capendo quello che stava succedendo attorno. Se allo spettatore arriva quel significato, a me non dispiace. Certo è che non avevo l’intenzione di dare una morale al film, perché non mi interessava darla: se si vuole dare un senso alla storia, è solo l’abbraccio di due ragazzi che si rincontrano dopo quarant’anni”.

Anche dopo qualche settimana dall’uscita, il film è ancora in buona posizione al Box office?

“È in una posizione molto buona: siamo a 900mila euro. Speriamo che si arrivi a un milione. Stava andando molto bene, ma le notizie più recenti non sono confortanti per la pandemia e la gente comincia ad avere di nuovo paura. E poi sono usciti anche gli altri film. Devo dire che è stata una sorpresa anche che il pubblico abbia risposto in modo positivo. Abbiamo avuto la percezione che il film fosse molto più popolare di quanto pensassimo”.

Le sue prossime idee?

“Sto capendo. A breve vorrei avere un altro film in sviluppo e poi c’è anche il mondo della serialità, che ha sempre più una qualità interessante. Io ho già fatto due serie; penso che, prima di un altro film, farò una serie”.

Riconoscimenti

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione maschile a Pierfrancesco Favino.

Premio La Pellicola d’Oro per il miglior capo macchinista a Raffaele Alletto.

Cr. ph. Ansa, Claudio Onorati

Padrenostro, un film di Claudio Noce

Con Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi, Mattia Garaci, Francesco Gheghi, Anna Maria De Luca, Mario Pupella, Lea Favino, Eleonora De Luca. Con l’amichevole partecipazione di Antonio Gerardi Con la partecipazione di Francesco Colella Soggetto e sceneggiatura di Claudio Noce ed Enrico Audenino Prodotto da Andrea Calbucci, Pierfrancesco Favino e Maurizio Piazza

Una produzione Lungta Film, Pko Cinema & Co., Tendercapital Productions e Vision Distribution, in collaborazione con Sky e Amazon Prime Video, con il contributo di Regione Calabria e Fondazione Calabria Film Commission

Si ringrazia Marinella Di Rosa, ufficio stampa film