L’intervista a Monica Repetto, regista e produttrice di “1974 1979. Le nostre ferite”, presentato al 38° Torino Film Festival

Servizio di: Roberto Tirapelle

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1974 1979. Le nostre ferite

Tra Roma e Torino si intrecciano le storie di una galleria composita di personaggi che, negli anni ’70, vittime di terrorismo e violenza politica, sono stati feriti e sono sopravvissuti.

Luigi frequenta il collettivo universitario di Medicina di Roma e Francesco il liceo Augusto. Entrambi vengono feriti a distanza di pochi giorni dai neofascisti, nel 1974. Nella Roma delle radio libere, Nunni e Anna sono femministe del collettivo casalinghe colpite dai mitra e dalle molotov dei NAR mentre va in onda “Radio Donna” nella sede di Radio Città Futura. Vincenzo è un poliziotto del sud, unico scampato a un conflitto a fuoco con i brigatisti rossi a Piazza Nicosia. Renzo è un bancario colpito insieme ad altri nell’unico attacco compiuto da Prima Linea contro una scuola.

La storia di ogni personaggio si sviluppa con un prima e un dopo segnati dalla ferita che gli è stata inferta. Guardiamo agli uomini e alle donne in carne e ossa, ai loro percorsi di vita, agli affetti, al lavoro, alle convinzioni, alle idee e alle emozioni. Ogni storia individuale è collocata nel contesto della Storia collettiva.

L’intervista a Monica Repetto

Signora Repetto cosa l’ha spinta a creare la “Deriva Film”, la sua Società di produzione?

“’Deriva’ nasce da me e Pietro Balla. Noi già dalla metà degli anni ottanta lavoravamo come autori singolarmente. Abbiamo deciso nel 2002 di fondare la nostra società indipendente per poter autonomamente produrre cinema della realtà, cortometraggi, programmi TV, format originali. Ciò che ci stava a cuore in maniera più libera. È stato molto faticoso, è tuttora faticoso, però ci consente di affrontare i temi che maggiormente ci interessano”.

E il titolo come è nato?

“Il titolo ‘Deriva Film’ si rifà ai situazionisti, alla psico-geografia, quindi a Debord, a Gallizio, a tutta una temperie e a un movimento che è un modo di intendere la società dello spettacolo in cui noi ci riconosciamo”.

Dal film “La vera storia di Marianne Golz”
Mi ha colpito una frase che avete inserito nel “Chi siamo” del vostro sito: “Crediamo nel potenziale rivoluzionario del tempo libero”.

“Uno dei filoni della nostra attività è il tema del lavoro. Il lavoro, in qualche maniera come ‘il tempo libero’, segna le nostre esistenze. E il lavoro visto dalla parte di chi materialmente si sporca le mani, di chi è ai margini, in questo rapporto di società asimmetrica dove il potere è asimmetrico tra chi ce l’ha e chi non ce l’ha. Ci sono delle storie che ci interessano, ma non è solo quello. C’è il tema del femminile, dell’amore, della ricerca dell’espressione attraverso l’arte, l’artigianato, un cinema anche marginale. Ci sono vari filoni che attraversano le nostre produzioni, storie che riguardino chi, a modo suo, ha costruito un percorso di identità e di autocoscienza”.

Nel vostro percorso, a un certo punto, avete affrontato il tema del terrorismo. Come nasce La forza delle idee (2010)?

“Storia del recupero della memoria da parte di un figlio per ricostruire le vicende del padre che ha perso in età molto giovane. Il lavoro parte dagli anni Settanta, ma la ricerca su Ezio Tarantelli comincia ben prima, dalla fine degli anni Sessanta in America. È quindi un lavoro su quelle memorie che avevamo già affrontato in altri titoli [Radio Singer è uno di questi]. Io avevo curato una rassegna sugli anni Settanta attraverso le opere di cineamatori che non facevano come professione il cinema, ma lo attraversavano come amateur, come non professionista. Avevo fatto questa rassegna per l’Estate romana all’Isola Tiberina, dal titolo “Amatori 70”, dedicata a uomini e donne che in quegli anni, con i loro super 8, creavano narrazioni molto interessanti.

In particolare, La forza delle idee nasce dalla ricerca tra Luca Tarantelli e Carole Beebe, moglie di Ezio Tarantelli, che nel frattempo continuavano a lavorare con la memoria intesa come dialogo, che consentisse cioè un recupero come valore, la memoria di quegli anni non come violenti e di piombo, ma una fucina, un decennio pieno di vitalità, lunga marcia per i diritti civili”.

Da queste premesse immagino sia partita anche l’idea per la realizzazione de Le nostre ferite.
Dal film “1974 1979. Le nostre ferite”

“Anche dopo il film La forza delle idee continuavamo a ragionare su queste tematiche. Si parlava addirittura di presentare progetti per una costituzione, una sorta di museo virtuale dedicato alle vittime del terrorismo.

Sono attiva anche all’interno del consiglio di amministrazione dell’AAMOD, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, che su quel tema del decennio lavora continuamente da quando è stato fondato. Era tutto un movimento di idee e di temi che continuava a prendermi. E da qui è venuta l’idea di fare questo film: abbiamo cominciato a raccogliere testimonianze, a capire le storie; poi ho scritto il soggetto e la sceneggiatura. È un dialogo costante su questi temi, che mi prendono perché hanno un valore oggi. Non è memoria che rimane ferma al passato; è una sorta di viatico, di vaccino. E questo ci serve per affrontare l’oggi. Scelte difficili, situazioni complesse”.

Si è avvalsa ancora del contributo di Luca Tarantelli?

“Certamente. Tarantelli, insieme a un altro storico quale Enrico Miletto, ha lavorato come consulenza storica, come consulenza per gli archivi. C’è un lavoro dietro molto importante. Dopodiché, dal punto di vista della produzione è stato importante l’apporto della associazione ‘Prisma: memoria, storia e dialogo’. Hanno sostenuto il film perché ottimo veicolo all’interno della loro mission“.

Alla fine, quanto è durato il progetto?

“A ritmi alterni, sono quattro anni, con battute di arresto e riprese. La vicenda produttiva di questo film non è stata facile. Noi di ‘Deriva film’ l’abbiamo portata avanti con grande difficoltà, ma non potevamo tirarci indietro e dunque siamo arrivati fino alla fine”.

Il titolo del film 1974 1979. Le nostre ferite comprende un periodo ben preciso: c’è un motivo particolare?

“Come avrà notato, non c’è un trattino tra i due anni, quindi sono due date in qualche maniera emblematiche. Più semplicemente, perché sono i due anni in cui si svolgono gli episodi dei protagonisti del film. Ma sono anni che hanno un valore simbolico più ampio. Parto dalla fine: il ’79 segna l’anno prima che si entri nei famigerati anni Ottanta, che segnano in qualche modo gli anni del riflusso. Gli anni Settanta sono gli anni di piombo, gli Ottanta quelli dell’edonismo reganiano. Anche lì c’è un’altra metafora, un altro stereotipo. Segna il passaggio dal momento in cui il personale è politico, come dicevano le femministe, al momento in cui il personale è personale e basta. È un momento di svolta, si chiude un capitolo della storia e se ne apre un altro e noi, comunque, siamo figli di quei decenni. Nel bene e nel male”.

Il film, presentato al Torino Film Festival in streaming, ha avuto un successo di critica. Appena possibile, andrà in sala?

“Stiamo lavorando per una distribuzione e quindi in tutte le sue sfaccettature. Diciamo che l’accoglienza calorosa che c’è stata di critica ci fa piacere, ma quello che ci manca è il pubblico. È chiaro che il rapporto con un pubblico non isolato, tanto più su un progetto così, per noi è fondamentale. Confidiamo che le sale riaprano presto e che si possa ritornare al cinema e incontrare il pubblico”.

1974 1979. Le nostre ferite: i crediti

Nazione: Italia.

Anno: 2020.

Durata: 60’.

Regia, soggetto, sceneggiatura: Monica Repetto.

Interpreti: Francesco De Ficchy, Renzo Poser, Annunziata Miolli, Anna Attura, Vincenzo Ammirata, Luigi Schepisi.

Fotografia: Antonio Demma, Walter Balducci, Simone Rivoire, Silvana Costa, Federico Schiavi.

Montaggio: Cristina Flamini, Beppe Leonetti.

Montaggio del suono: Federico Tummolo.

Post-produzione: Incandenza film, Nacne.

Consulenza storica e archivi: Luca Tarantelli, Enrico Miletto.

Produttori esecutivi per “Deriva film”: Monica Repetto, Pietro Balla.

Monica Repetto

Dal film “ThyssenKrupp Blues”

Regista e produttrice, Monica Repetto approda nel mondo del cinema dopo la laurea in psicologia e il lavoro di critico cinematografico nei primi anni ’90. Tra le sue opere, la serie documentaria Il corpo dell’amore, nomination ai “Diversity Media Awards” 2020 (Rai3), O rugbill per la serie “Dmax Rugby Stories” (Discovery Channel).

Dalla serie “Scatti di nera”

Ha co-diretto, con Pietro Balla, ThyssenKrupp Blues, evento speciale alla Mostra d’Arte cinematografica di Venezia, vincitore del Mediterraneo Film festival (Rai Cinema), la serie documentaria Scatti di nera con Michele Placido (Fox Crime), i documentari La forza delle idee, Operai, Falck. Romanzo di uomini e fabbrica (Rai), La vera storia di Marianne Golz (sviluppato con il supporto del Programma europeo Media Plus per History Channel). Nel 2011 ha ideato e curato il lancio di On The Docks, prima piattaforma italiana di video on demand dedicata al cinema della realtà, con il sostegno della Regione Lazio. È tra i tutor del Premio Zavattini, workshop di formazione e sviluppo per la realizzazione di cortometraggi di riuso creativo del cinema d’archivio, promosso da Archivio del movimento operaio e democratico e Luce Cinecittà. È autrice di saggi e scritti sul cinema e ha collaborato con “Paese Sera”, “Il Tempo”, “Il Manifesto”, “Alias”.