Molti post su facebook gridano alla dittatura: ci troviamo davvero di fronte a un governo dittatoriale? O forse il nostro concetto di dittatura trascende il vero significato della parola?

Di: Samuela Piccoli

LEGGI ANCHE: “Le Cronache della Fortezza”: la storia di Legnago tra Seicento e Ottocento

In questo periodo di vacanza, ho avuto modo di leggere numerosi post indignati su Facebook. Per le restrizioni a cui tutti i cittadini sono stati soggetti in questi lunghi, infiniti mesi di crisi pandemica, gridavano alla dittatura. Ma ci troviamo davvero di fronte a un governo dittatoriale? O forse il nostro concetto di dittatura trascende il vero significato della parola?

Il significato di dittatura

Se si cerca il significato della parola dittatura sul dizionario Treccani, si otterranno diversi risultati:

  1. Carica e autorità di dittatore in senso storico. Ad esempio, la dittatura di Cincinnato;
  2. Regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, monocratico o collegiale, che l’esercita senza alcun controllo. A esempio, d. militare, d. fascista, d. nazista. d. del proletariato;
  3. Dominio di fatto e incontrastato di una persona, di un ente, di una categoria. Ad esempio, la d. dell’alta finanza;
  4. Imposizione dispotica, intransigente della propria autorità. Ad esempio, ribellarsi alla d. del proprio direttore.

Partiamo dal significato più comune. Con dittatura intendiamo l’accentramento dei poteri nelle mani di un solo organo, che li esercita in modo arbitrario e non accetta la presenza di alcun oppositore politico che possa fare da contraddittorio. Dittatura indica, quindi, un regime politico autoritario, illiberale e antidemocratico; un regime che, talvolta fondato sul consenso della massa, permette la concentrazione del potere nelle mani di un capo, attorno al quale si costruisce un vero e proprio culto della personalità. Tra i più famosi possiamo annoverare: Adolph Hitler, Benito Mussolini, Francisco Franco, Iosif Stalin, Augusto Pinochet Ugarte, Kim Jon-Un.

Si potrebbe riempire una pagina intera di personaggi storici, moderni e contemporanei che hanno fatto del terrore e della sottomissione popolare la loro strategia politica; tuttavia, ciò che più li accomuna è il fatto di aver completamente messo a tacere la stampa e i giornali d’opposizione tramite la chiusura o la censura.

Dittatura e stampa in Europa

Il monopolio dell’informazione e la propaganda furono aspetti tipici delle dittature fascista e nazista. In Italia, Mussolini, in passato giornalista dell’“Avanti!”, capì subito l’importanza dei mezzi di comunicazione per affermare il suo potere. Nei primi anni del regime, la stampa fu sottoposta a un controllo formale: solo pochi giornali d’opposizione riuscirono a sopravvivere con grandi difficoltà; altri, invece, come “ L’Unità” e l’“Avanti!”, furono chiusi.

Decine di giornalisti, soprattutto socialisti, furono aggrediti e picchiati tra il 1919 e il 1921 e numerose redazioni furono devastate. Tutti i redattori dovevano essere iscritti al Partito Fascista per poter esercitare. Il Minculpop (Ministero della Cultura Popolare) impartiva ordini di stampa, denominati veline, alle redazioni con la precisa indicazione del contenuto degli articoli.

Nel 1926, tutti i giornali d’opposizione furono soppressi, azione che conosciamo come fascistizzazione della stampa nazionale. In ugual modo agirono Hitler e Stalin, facendo della propaganda e della censura i propri cavalli di battaglia per orientare e modificare il pensiero che la popolazione si formava sulla realtà. L’individuo, infatti, secondo la Professoressa Federica Bertagna docente di Storia del giornalismo presso l’Università degli Studi di Verona, pensa e agisce non in base alla conoscenza diretta della realtà, ma in base alle immagini che si forma su questa realtà (Cfr. Walter Lippmann, L’opinione pubblica, Donzelli, Roma, 2004).

Dittatura in America latina

L’11 settembre del 1973, Pinochet rovesciò con un colpo di Stato, avvallato anche dagli Stati Uniti, il governo democraticamente eletto di Salvador Allende. Una delle prime azioni intraprese dal suo sanguinario regime fu di mettere a tacere i mezzi di comunicazione con l’ “Operazione silenzio“: bombardò le stazioni radiofoniche, compresa Radio Magallanes, che stava trasmettendo l’ultimo accorato discorso del presidente Allende alla nazione dalla sede governativa della Moneda.

Mise al bando tutti i giornali d’opposizione e decise che il Paese avrebbe continuato a essere informato solo dalle frequenze delle Forze Armate. Il 12 settembre, quindi, selezionò alcuni quotidiani, critici verso il precedente governo, che avrebbero continuato ad essere pubblicati e diffusi: “El Mercurio”, “La Segunda” e “La Tercera de la Hora”. Durante il suo regime, Pinochet ebbe il totale appoggio della stampa e dei giornalisti, tanto da riuscire a dissimulare il massacro e la sparizione dei corpi di oppositori politici tramite quelle che oggi chiameremmo fake news, notizie false pubblicate sui maggiori quotidiani di regime.

Questa operazione di occultamento di cadaveri e invenzione di “informazioni-farsa” da propinare alla popolazione fu denominata “Operazione Colombo”. Oltre alla manipolazione dei mezzi di comunicazione, ovviamente, Pinochet fece uso del sequestro, della tortura e dell’omicidio per eliminare i dissidenti e per mettere in guardia la popolazione sulle conseguenze di una sua possibile disobbedienza.

Fake news e social

Ora, prendendo in considerazione le informazioni sopra citate e la quantità di notizie che circolano sui quotidiani, sia cartacei che on-line, ritengo si possa affermare con certezza che non ci troviamo affatto in un regime dittatoriale. Nessuno ha tolto alla popolazione la libertà di pensiero e di parola e, considerando che due persone su tre sono soggette a fake news sui social, probabilmente ci troviamo più che mai in un regime di libera stampa.

Già nell’aprile del 2019 il Mattino scriveva: “Se è vero che le bufale sono sempre esistite, da quando ci sono i social network le notizie false, che riguardano soprattutto fatti di cronaca o di politica, hanno raggiunto un potenziale di diffusione decisamente allarmante. Oggi, ognuno può dire e scrivere ciò che vuole: anche confezionare bufale così ben congeniate da sembrare vere senza mai incorrere nella censura, così tanto cara alle dittature”.

Dittature nell’antichità

Nella teoria romana dello stato, la dittatura era considerata un assetto costituzionale volto a proteggere la Repubblica di fronte a un’emergenza politica. Quindi, ad essa si faceva ricorso solo in casi straordinari, come una rivolta, difendersi contro particolari nemici esterni oppure per governare lo Stato in situazioni di difficoltà. Per tutta la durata della carica, il dittatore aveva pieni poteri: era l’unico a guidare Roma nel momento di crisi, pur salvaguardando appieno la continuità delle istituzioni dello Stato.

Il suo mandato, nondimeno, era limitato nel tempo: durava 6 mesi e non c’era continuità della carica in questione. Il pieno potere della dittatura gli era concesso solo temporaneamente, mentre la forma e la costituzione dello Stato dovevano rimanere immutate. Il primo dittatore ricordato dalle fonti è Tito Larcio, vissuto nel 500 a.C. circa.

Talvolta avveniva il passaggio dalla dittatura costituzionalmente limitata a quella globale e permanente, ovvero la trasformazione di una situazione politica d’emergenza in una di dominio assoluto. In realtà, tale cambiamento si è sempre ripetuto nella storia.

Stato di emergenza

Quindi, anche gli antichi, nei momenti di grande crisi, come quella che stiamo vivendo ora, si sono affidati alla guida di qualcuno che fosse in grado di traghettarli fuori dalla tempesta. Diciamolo pure chiaramente: dai tempi della dittatura fascista, le libertà personali di ognuno non sono mai state così tanto limitate; e nonostante tutti si rendano conto dell’eccezionalità della situazione, nessuno riesce più ad accettare in silenzio le regole imposte dai DPCM.

Ciò che realmente logora è l’attesa, il non sapere cosa succederà domani. Bisogna solamente aspettare con fiducia, perché la storia ci insegna da sempre che, prima o poi, tutto passa. Nel frattempo, però, non si deve consegnare alle generazioni future una visione sbagliata di ciò che sta succedendo in questo preciso momento storico: non ci troviamo in una dittatura. Se gli italiani hanno imparato una cosa sulla loro pelle è che non ci torneranno se non dopo aver lottato con le unghie e con i denti.