A distanza di un anno dallo scoppio della pandemia, si sogna la normalità, ma si continua a fare i conti con restrizioni e paure

Di: Marina Storti

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É passato quasi un anno dallo scoppio della pandemia, dal giorno in cui la nostra vita è cambiata radicalmente. Mascherine, guanti, disinfettante e niente più abbracci: una quotidianità travolta dalla paura e dal terrore. Sembrava – o, meglio, sembra – un terribile incubo, da cui, prima o poi, ci saremmo sicuramente svegliati.

Il 2021 non era l’anno del cambiamento?

Eppure, all’alba di un nuovo anno, verso cui abbiamo riposto speranza e fiducia, ci ritroviamo dinnanzi ai medesimi problemi. Solo una cosa è variata: siamo stanchi, stremati, quasi privi di forze davanti a un nemico che sembra non volerci abbandonare.

Alcune regioni chiuderanno, altre l’hanno già fatto. Ci troveremo, dunque, a dover nuovamente rinunciare a quegli attimi di una normalità ormai tanto lontana: niente caffè al bar con gli amici, niente gite improvvisate nel fine settimana e neppure la possibilità di muoversi in libertà. La parola d’ordine resta autodichiarazione.

Un pensiero alla pandemia

“Andrà tutto bene” è lo slogan che ci ha accompagnato in questi mesi. Una frase di circostanza che, tuttavia, ci ha attribuito forza e ci ha fatto sentire un grande gruppo, unito verso un nemico comune. Ad oggi, però, c’è chi non ci crede più, chi si lamenta, chi piange o, ancora, chi si arrabbia. Reazioni giustificate da una situazione priva di spiegazioni, che sembra non migliorare mai. O perlomeno farlo a rilento.

Rievocando la musica che ha accompagnato intere città dai balconi di casa propria, proviamo ancora una volta a guardare avanti, a credere che, prima o poi, qualcosa cambierà. Nondimeno, nel frattempo permettiamo a noi stessi di sentirci tristi e fragili, se ne sentiamo il bisogno; e ne abbiamo tutto il diritto.

Dobbiamo ricordare che non siamo robot, ma esseri umani colmi di emozioni contrastanti. Abbiamo il diritto di demoralizzarci se qualcosa va male, tanto da non volerci alzare dal letto perché ci sentiamo totalmente impotenti.

Anche da un punto di vista psicologico, difatti, questa pandemia deve essere concepita come una vera e propria emergenza. Innanzitutto, l’uomo si è sentito minacciato da un nemico invisibile, che aveva, e tutt’ora ha, la capacità di distruggere una vita; in secondo luogo, come se non bastasse, si è trovato a doversi isolare dai propri cari, dalle proprie abitudini, ovverosia da ciò a lui più caro, per proteggersi da un qualcosa a cui nessuno sapeva dar risposta.

E sono poi giunti i primi “non ce la faccio”, risultato di una situazione giunta allo stremo, all’insofferenza, a quel desiderio che tutto possa tornare alla normalità. Una normalità che, purtroppo, abbiamo sempre dato per scontata. Quindi, nonostante la quotidianità rimandi al concetto di sopravvivenza, non ci resta che ripetere, ancora e ancora: “Ce la faremo”.