Conoscere per amare: tra le onde della biodiversità, insieme ad Elvira Antonucci e al suo canale, Panthalassa

Di: Chiara Tomasella

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Sale a tutti!

Iniziano così, tra un sorriso e un saluto, tutti i video di Elvira Antonucci, biologa marina di origini baresi con un’innata passione per il mare.
Esperta subacquea, si è di recente laureata al Master’s Degree Course in Biology and Ecology of the Marine Environment and Sustainable Use of Marine Resources dell’Università Federico II di Napoli, un nome che racchiude i principali campi d’interesse del canale.

La biologia e l’ecologia dell’ambiente marino, infatti, sono complesse e affascinanti: l’azione umana, tuttavia, rischia costantemente di metterne in pericolo gli equilibri, per esempio tramite la sovrapesca. Quest’ultima consiste nell’intensa attività di sottrazione di risorse ittiche al mare, ad un ritmo ben superiore rispetto alla loro capacità di rinnovarsi; la scarsa attenzione verso l’impatto che le nostre azioni hanno sulla natura di un ecosistema non disturba soltanto ciò che ci circonda, ma ha delle ricadute concrete anche su di noi esseri umani.

Spesso dimentichiamo di essere parte di una stessa comunità biotica, che comprende tutte le forme di vita, senza nessuna eccezione.

Un’introduzione con le pinne
CONOSCERE PER AMARE

Il motto di Panthalassa è: “conoscere per amare”. Per meravigliarsi, appassionarsi, apprezzare e interiorizzare qualsiasi cosa, il primo passo è la conoscenza: se s’ignora l’esistenza della tartaruga liuto, per esempio, o la si è soltanto sentita menzionare, ci si stringerà nelle spalle qualora un articoletto ne annunci l’estinzione.

Secondo l’IUCN, questa specie, nota per detenere il record di “tartaruga più grande del mondo” con i suoi due metri e mezzo di lunghezza e gli oltre 400kg di peso, è “vulnerabile”: pur avendo un areale molto vasto, risente della crisi climatica e della presenza massiccia di plastica nei mari e negli oceani, soprattutto considerato il fatto che la componente principale della sua dieta sono le meduse.

Oltre alla somiglianza visiva tra un sacchetto che galleggia e una medusa, vi è anche da considerare un subdolo inganno olfattivo in cui gli animali potrebbero incappare: una traccia chimica della presenza di cibo, infatti, è il dimetil solfuro, che viene prodotto anche dalla decomposizione della materia plastica colonizzata da batteri e alghe. La plastica dispersa in mare, dunque, odora di cibo, ma al posto che portare nutrimento danneggia irrimediabilmente l’apparato digerente degli esemplari che la ingeriscono, portandoli alla morte se non vengono curati per tempo.

CONOSCERE PER PRESERVARE

Nel 1992, l’ONU vara la convenzione sulla biodiversità. Nel 2002, viene predisposto un Piano d’Attuazione che in 8 anni porti ad una significativa riduzione della perdita di varietà biologica: il decennio da poco conclusosi, che va dal 2010 al 2020, infine, è nominato solennemente “Decade della Biodiversità”, ma le statistiche non fanno pensare che si stia effettivamente agendo in ottemperanza a questi buoni propositi o che gli interventi messi in opera siano sufficienti per invertire questa triste tendenza.

Vi è inoltre un appunto da fare sulla conservazione delle specie animali. È facile desiderare che un tenero panda o un cucciolo di koala non spariscano dalla faccia del pianeta, oppure commuoversi pensando ad un orso polare che non sa più a che cosa aggrapparsi, mentre il ghiaccio si scioglie intorno a lui.

Un animale, tuttavia, non dev’essere esteticamente gradevole o propenso a farsi coccolare e accudire perché sia importante per l’ecosistema o perché meriti di sopravvivere: la natura non serve all’uomo, una specie vivente non è vassalla del nostro egocentrismo.

Elvira racconta, in un aneddoto, della scomparsa di un mollusco all’interno di una baia brasiliana a causa dell’eccessivo sfruttamento della sua conchiglia variopinta. Quel mollusco, però, serviva a mantenere controllata la popolazione di alghe che, con la loro presenza eccessiva, hanno reso la zona meno pescosa. Gli abitanti della baia lamentavano l’assenza di pesce, senza sapere di essere essi stessi la causa della penuria.

Indebolire una maglia nella complessa rete che avvolge la Terra può avere conseguenze difficili da collegare alla prima tessera caduta di un immenso domino.

CONCLUSIONI

“Panthalassa” non è solo il nome del canale di Elvira. È anche la denominazione dell’immenso, unico oceano che faceva da controparte alla Pangea, circa 250 milioni d’anni fa. Anche oggi, tuttavia, i mari e gli oceani non hanno veri e propri confini: lo dimostra una storia che forse avrete sentito raccontare, la storia di una nave che trasportava, tra gli altri, alcuni container di animaletti di plastica.

Durante una tempesta, dodici dei container finirono in mare e vi dispersero il loro carico: 28.800 “floatees”, che, per l’appunto, potevano galleggiare sulla superficie delle onde (o comunque, erano pensati per non andare a fondo).

Furono ritrovate sulle spiagge di tutto il mondo: dall’Alaska al Regno Unito, fin quasi in Russia. Il motivo? Il circolo delle correnti oceaniche, che disegna un unico loop intorno al globo.

Adottare questa stessa prospettiva è l’obiettivo di Panthalassa: dovrebbe essere quello di noi tutti.

UN PAIO DI CONSIGLI