I social network come unica fonte di informazione e la qualità dell’istruzione peggiora. Ma siamo sicuri che si debba solo a questa dipendenza smartphoniana?

Di: Andrea Panziera

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Sta facendo grande scalpore il risultato, invero disastroso e allarmante, dei Test Invalsi, che attestano il grado di preparazione degli studenti italiani. Più si sale nell’ordine e grado degli Istituti, più i riscontri delle prove diventano imbarazzanti: maturandi che hanno una proprietà nell’uso della lingua italiana comparabile a quella di un alunno di terza media, e neanche troppo preparato; materie scientifiche poco e male praticate e assimilate; totale mancanza di competenze riguardo le reali necessità del mondo del lavoro.

Due dati per tutti: il 44% dei ragazzi che hanno superato l’esame di maturità ha una conoscenza dell’italiano del
tutto inadeguata
a sostenere una normale conversazione, mentre per il 51% la matematica rappresenta un oscuro oggetto del programma scolastico. In molti hanno subito individuato il colpevole: la famigerata DAD, la didattica a distanza che a più riprese, nei mesi scorsi, ha costretto docenti e discenti alle lezioni da casa.

Ma siamo sicuri che la causa principale della preoccupante debacle del nostro sistema scolastico e formativo sia proprio questa?

Un problema di quantità, un problema di qualità

Per esperienza diretta, dopo averla sperimentata per mesi senza riscontrare particolari disagi o negatività, aldilà dell’ovvio deficit di socialità, mi sento di escludere questa tesi. È molto più verosimile pensare che la scaturigine dei problemi del nostro sistema educativo-formativo abbia origini e cause remote, via via acuite nel corso degli anni.

Ritengo anche che uno dei motivi delle performance calanti della nostra economia vada ricercato proprio nella perdita di requisiti essenziali dell’Istruzione nel suo complesso. Con particolare riferimento alla domanda di competenze provenienti dal mondo del lavoro. Verosimilmente, esiste sia un problema di quantità (la percentuale di lavoratori con un diploma di istruzione superiore è minore rispetto a quella dei principali Paesi) che di qualità (l’Istituzione universitaria spesso non compensa adeguatamente il merito, costringendo le menti migliori a cercare fortuna altrove).

Come accennato poc’anzi, c’è una discrepanza sempre maggiore fra le abilità di cui le imprese necessitano e quelle provenienti dal sistema universitario, stante una collaborazione operativa piuttosto labile, se non – in molti casi – inesistente. Ma questa mancanza di collaborazione si riscontra anche per gli Istituti professionali, e in generale per tutto il sistema scolastico. Con una eccezione virtuosa di cui parlerò più avanti.

Dipendenza smartphoniana

In realtà, a monte di ogni ragionamento bisognerebbe porsi una domanda: il palese peggioramento qualitativo dell’istruzione è un fenomeno ahimè irreversibile? Oppure esiste la possibilità di modificare il trend con interventi mirati, magari prendendo spunto da modelli già esistenti anche da noi?

Certo, alcune notizie sono tutt’altro che incoraggianti. In un recente concorso per l’immissione in ruolo di nuovi insegnanti, circa il 90% non ha superato i test relativi alle materie scientifiche. Gran parte dei ragazzi, per loro stessa ammissione, utilizza i social network come unica fonte di informazione. Non solo: non legge alcun giornale, raramente – o quasi mai – mette piede in una libreria; e non saprebbe vivere più di 2 giorni senza lo smartphone.

Tutta colpa loro? Probabilmente – anzi, sicuramente – no. Sta di fatto che il gap di formazione rispetto ad altri Paesi si sta pericolosamente allargando; e questo ha riflessi non solo sulla competitività futura del nostro sistema economico, ma anche sulle competenze e sull’affidabilità delle prossime classi dirigenti. Invertire la rotta, quindi, non solo è necessario, ma non più rinviabile. E in che direzione farlo?

Orientare la dipendenza smartphoniana: gli stimoli alla curiosità

Michela Marzano, che vanta una lunga esperienza di docenza in Facoltà estere di eccellenza, in un suo recente articolo su “Repubblica” evidenzia che il portato tecnologico delle nuove generazioni ha anche implicazioni sicuramente positive. Suggerisce pertanto di concentrare gli sforzi sugli stimoli alla curiosità. La didattica andrebbe ripensata in quest’ottica: comunicare in modo tale da suscitare interesse a scoprire e ad approfondire quei temi che coinvolgono i giovani.

Condivido questa impostazione relativamente alle materie di cui mi occupo, Economia e Marketing, con un’aggiunta. L’approccio deve sempre partire da questioni concrete, magari all’apparenza banali, ma che toccano le scelte che ogni ragazzo vive in prima persona tutti i giorni. La discriminante deve essere esplicitata in modo chiaro: se conosci, decidi in modo consapevole; in caso contrario, subisci il volere altrui.

Insegnamento virtuoso

In realtà, e questo è bene sottolinearlo, nel mondo accademico – e non solo – sono già presenti e operative non poche esperienze virtuose di insegnamento efficiente ed efficace.

Prendendo a prestito un termine utilizzato nel web marketing, uno dei parametri di successo della istruzione/formazione è la redemption fra studenti che hanno conseguito un diploma e quelli che hanno poi trovato un’occupazione. In generale, gli ITS (Istituti Tecnici Superiori), corsi biennali a cui possono accedere diplomati e laureati, con i quali si ottiene un attestato di V° Livello EQF, rappresentano un felice percorso verso questo obiettivo. In alcuni casi, peraltro, con una redemption altissima, attorno al 90%. Soprattutto, per mia conoscenza diretta, posso affermare che l’ITS Agroalimentare Veneto, diretto dalla Prof.ssa Damiana Tervilli, coadiuvata da uno staff giovane e preparato, fotografa molto nitidamente l’immagine di questo successo.

Grazie alla valente collaborazione dei docenti delle sedi sul territorio – Conegliano, Verona, Padova e Buttapietra, a cui presto si aggiungerà Bassano – si è innestato un circuito virtuoso con le aziende del settore di riferimento che garantisce l’effettuazione di stage realmente operativi, i quali spesso costituiscono l’anticamera della futura assunzione.

Insomma, la materializzazione dell’alternanza scuola-lavoro, se ben preparata e attuata, produce sicuramente frutti preziosi. In queste settimane, in Parlamento, è iniziata la discussione di alcune proposte di Legge atte a rafforzare l’Istituzione ITS, anche in quanto beneficiaria di nuove risorse provenienti dal Next Generation EU. L’auspicio è che gli interventi ne rafforzino le strutture senza snaturarne le regole e il modello di Governance. Un rischio, questo, purtroppo sempre dietro l’angolo nel nostro sistema politico-partitico.