Cos’è la consapevolezza? Bella domanda, con una risposta di non facile formulazione. È ora di sgombrare il campo dalle banalizzazioni

Di: Andrea Panziera

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Cos’è la consapevolezza? Bella domanda, con una risposta di non facile formulazione. Sicuramente va sgombrato il campo dalle banalizzazioni, del tipo “essere informati” o “sapere qualcosa”. Consapevolezza e conoscenza non sono sinonimi, e ci andrei molto cauto pure con “coscienza”, anche se qualcuno azzarda questo accostamento. Etimologicamente il termine significa “con sapere” e si potrebbe tradurre con quello stato della persona in cui la cognizione di qualcosa si immedesima con la sua condotta di vita, quindi con l’etica dei comportamenti, rendendo i due termini un unicum inscindibile. Da ciò consegue che la consapevolezza non è una nozione, ma un percorso virtuoso che ognuno di noi sceglie o meno di perseguire. Questo significa che ogni essere umano possiede in potenza la consapevolezza, ma è la scelta di passare attraverso ripetute esperienze e verifiche che consente di indirizzarsi verso di essa e vivere in sua connessione. Esempi? la consapevolezza del rischio, che non ostacola le iniziative ma ci induce ad essere prudenti; la consapevolezza delle proprie capacità, che guida e fortifica; la consapevolezza del dolore, che rende misericordiosi. Dunque, diventare consapevoli di dove siamo e come stiamo, del mondo in cui viviamo e di quale futuro ci attende, costituisce sicuramente un passo decisivo nella giusta direzione. Riflettevo su questi concetti poc’anzi mentre leggevo su alcuni quotidiani il resoconto sui lavori del G20 Agricoltura in corso a Firenze e sull’intervento di Mario Draghi al Forum delle Maggiori Economie mondiali sull’Energia e il Clima. Dal momento che fra non molto inizierò il mio consueto ciclo di lezioni di Economia e Marketing, mi chiedevo quale sia il reale grado di consapevolezza presso le giovani generazioni riguardo alla necessità di affrontare con decisione tematiche non più rinviabili. Sui miei coevi preferisco passare la mano, in quanto in molti casi non hanno fornito esempi encomiabili. Quando parlo di questioni non differibili, con buona pace della residua congerie dei negazionisti, mi riferisco ai cambiamenti climatici dagli effetti sempre più devastanti su vaste aree del pianeta, alla sostenibilità ambientale, economica e sociale, alle sfide agricole ed alimentari post – pandemia che impegneranno tutti gli Stati. La prolungata emergenza sanitaria non ha impattato in modo uniforme su tutti i Paesi ma ha avuto tra i tanti effetti deleteri quello di aggravare la situazione alimentare delle fasce più deboli della popolazione mondiale. Questa evidenza stride in modo del tutto insopportabile con un dato riportato da Coldiretti: ogni anno nel mondo viene sprecato un miliardo di tonnellate di cibo, pari al 17% di tutto quello che è stato prodotto, con conseguenze non solo umanitarie ma anche di serio impatto ambientale. L’Italia non è immune da questo fenomeno: noi buttiamo mediamente quasi 70 kg di cibo pro capite per un totale di 4 milioni di tonnellate. E che dire di quelle produzioni che non rispettano l’ambiente, il paesaggio, le caratteristiche peculiari del territorio ? Da docente ritengo che il primo obiettivo del mio insegnamento sia proprio quello di aiutare i ragazzi ad acquisire una consapevolezza sempre maggiore su questi problemi, anche perché il loro destino lavorativo verosimilmente dipenderà proprio da questo processo di acquisizione. Ed in effetti, esiste qualcosa di più gratificante che aiutare giovani discenti alla ricerca di un loro percorso di vita a diventare “cives conscii” ?