Il valore di un’azione non può prescindere dagli utili o dalle perdite di un’azienda: con questa leva, non si può sollevare il mondo

Di: Andrea Panziera

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In queste settimane, nelle mie discussioni con alcuni amici – analisti finanziari di professione, promotori di servizi di investimento, risparmiatori che si dilettano nell’attività di trading o semplici lettori appassionati delle evoluzioni a volte inspiegabili degli indici di borsa -, una domanda è permanentemente all’ordine del giorno. In breve, ci chiediamo: “Ma i Mercati hanno sempre ragione?“.

La risposta non è così immediata e automatica come a prima vista potrebbe sembrare. Ciò soprattutto perché in questi termini, con molta probabilità, la domanda è mal posta. Se le quotazioni nel loro complesso salgono o scendono, c’è sempre un motivo; e a volte non ha molto costrutto verificarne la razionalità, vuoi perché la ricerca potrebbe essere vana, ma molto più spesso perché è inutile.

La forza dei numeri

Nella mia lunga esperienza nel settore della Finanza operativa ho conosciuto molte persone che, ostinandosi a opporre motivazioni in via teorica del tutto condivisibili in termini di logica e sensatezza ad andamenti di Mercato all’apparenza inspiegabili, assumendo di conseguenza posizioni ad essi contrarie, hanno in breve tempo dovuto arrendersi alla forza dei numeri, portando a casa perdite ingentissime, salvo poi nel tempo vedere non di rado confermate le loro idee. Insomma, oltre al danno, una beffa atroce: avevano ragione, ma questa è arrivata fuori tempo massimo. Il tempo alla fine è sempre galantuomo, ma il momento della verità non lo decidiamo noi quanto piuttosto la forza degli eventi e dei numeri.

Con ogni probabilità è un po’ quello che da circa 3 mesi sta avvenendo sulla gran parte delle Borse mondiali. Una sorprendente ripresa a V delle quotazioni, che in alcuni casi hanno sfiorato nuovi massimi assoluti o nella peggiore delle ipotesi hanno recuperato dai minimi di febbraio/marzo una buona parte delle perdite causate dall’esplosione della epidemia di Covid.

Riformulare: da una a tre domande

Di fronte a questi dati, la domanda posta in precedenza andrebbe riformulata come segue: una simile risalita anticipa un analogo recupero dell’economia reale oppure la spiegazione va ricercata in altri contesti? Magari scaturisce dalla combinazione di fattori differenti? È alimentata da attori che poco potranno (o vorranno) fare di fronte ad una realtà macroeconomica internazionale che entro qualche mese chiamerà tutti noi al redde rationem e presenterà un conto “globale” che si rivelerà insopportabile soprattutto per le fasce più deboli e meno garantite della popolazione?

Ovviamente, qui si apre una discussione dalle tante ipotesi e poche certezze; nondimeno, i riscontri oggettivi attualmente disponibili non sono forieri di solide professioni di ottimismo. Il tessuto economico mondiale, nella sua generalità, ha subito una contrazione assai rilevante sia nella produzione che nella capacità di consumo. Per circa due-tre mesi i dati statistici non sono stati neppure rilevati a causa della chiusura degli uffici ad essi deputati. Quindi, mentre si mettono in evidenza i miglioramenti degli indicatori recentemente pubblicati, sarebbe il caso di precisare che in molti casi si tratta di stime, non di valori reali. Motivo per cui nei prossimi mesi non sono da escludere significative revisioni.

Quell’inspiegabile clima di euforia

Vero è che l’economia globale ha interrotto la contrazione, ma non è quantificabile con assoluta certezza l’entità del recupero attualmente in atto. Pertanto, ci chiediamo come si spieghi il clima di euforia che da settimane ha spinto la principale Borsa mondiale a recuperare tutte o quasi le perdite, trascinando nel suo rally le principali Piazze finanziarie internazionali.

Non è un segreto che a Wall Street si faccia il tifo per l’attuale amministrazione; quindi, non suscita stupore che la forza del listino sia un ottimo propellente in termini marketing per sostenere la campagna elettorale dell’inquilino della Casa Bianca. A questo sforzo si sono allineate quasi tutte le principali Banche d’affari americane, le cui aspettative macroeconomiche hanno fatto registrare nelle ultime settimane un miglioramento improvviso.

Sulla sua fondatezza è lecito sollevare più di qualche dubbio, anche perché tutta questa ventata di ottimismo contrasta in modo evidente con le previsioni del FMI e della Banca Mondiale, ma anche con quelle della stessa FED. Tutte queste Istituzioni concordano nel proporre scenari che disegnano percorsi di ripresa piuttosto problematici. Percorsi complicati in particolare dalla circostanza che i contagi da Covid19 negli USA paiono tutt’altro che sotto controllo, con possibili lockdown futuri.

Un cambio di rotta

Se vi fosse un cambio della guardia a Washington, è altamente probabile – per non dire certo – un drastico cambio di rotta della politica economica portata avanti dall’attuale amministrazione, con provvedimenti invisi alla lobby finanziaria quali la cancellazione dei benefici fiscali per le società quotate, l’aumento dell’imposta sui capital gains e un maggiore intervento dello Stato nell’economia in settori cruciali come quelli dei servizi sociali.

Per scongiurare questa eventualità, la FED ha inondato il sistema di un mare di liquidità, ma la stampa di moneta non può rappresentare la cifra costante e permanente di una politica economica. Questo per le implicazioni di tipo inflazionistico – e non solo – che essa provoca, soprattutto se i beneficiari sono in massima parte l’èlite di Wall Street e non la massa dei cittadini di Main Street.

Il momento della verità: una leva che non può sollevare il mondo

Il momento della verità, quello delle carte vere sul tavolo, arriverà con ogni probabilità a inizio autunno. Coinciderà con i dati reali sulla produzione, sulla occupazione soprattutto in termini di ore effettivamente lavorate e non di impieghi precari part-time con remunerazioni da fame, sulle insolvenze aziendali e sulla capacità degli individui di pagare le rate del mutuo o del credito al consumo. La scommessa di usare i listini azionari come cartina da tornasole per certificare la ripartenza e l’acclarato consolidamento del trend di crescita a quel punto potrebbe avere le sembianze di quel re che improvvisamente si ritrovò nudo.

Allora si paleseranno tutti i limiti del leverage. A poco servirà utilizzare i più raffinati strumenti di tecnica finanziaria; la presa di capitali a basso costo e il loro reinvestimento a leva finirà per scontrarsi con la cruda realtà dell’economia reale. Perché, alla fin fine, un’azione rappresenta sempre una quota parte di un’azienda; ergo, il suo valore non può prescindere dagli utili o dalle perdite di questa. Nonostante la sua genialità, anche Archimede si sarebbe alla fine arreso: con questa leva non si può sollevare il mondo.