Nel Lampi News di oggi parliamo di spezzature di Borsa. In un segmento borsistico che per le nostre aziende non sembra brillare, speriamo che le “e” non diventino “a”

Di: Andrea Panziera

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Tutti coloro che hanno avuto rapporti con la Borsa negli anni ’80 e ’90 ricorderanno bene che uno dei principali problemi operativi erano le spezzature rivenienti dagli aumenti di capitale. Con il termine spezzatura si intendeva un quantitativo di uno strumento finanziario, soprattutto azioni, inferiore al lotto minimo negoziabile nel rispettivo mercato di riferimento.

La Società di Intermediazione Mobiliare (SIM) che dirigevo all’epoca, grazie a una felice intuizione dell’Agente di Cambio e Presidente Giuliano Fossi, creò un mercato ad hoc per le spezzature, diventandone market maker. La questione fu in seguito risolta abbassando fino a una sola unità il lotto minimo acquistabile/vendibile. In realtà, però, le commissioni di transazione spesso erano – e tuttora sono – superiori all’importo della compravendita; quindi, nella sostanza i piccolissimi azionisti per evidenti motivi si tengono loro malgrado questi titoli in portafoglio.

Piazza Affari

Mi è tornata alla mente questa vicenda leggendo sui media le ultime notizie relative all’incerto destino di quell’istituzione che per tutti era nota come Piazza Affari. La Borsa italiana è stata acquisita nel 2007 da quella di Londra, all’epoca una delle prime 3-4 al mondo. Facendo fronte unico con uno dei maggiori intermediari planetari, l’intento era probabilmente quello di rafforzarne la visibilità internazionale. E tuttavia non pare che questo obiettivo sia stato coronato da successo.

È di questi giorni infatti la notizia che essa è ufficialmente in vendita. Il London Stock Exchange ha formalmente confermato di aver avviato “discussioni esplorative” con lo scopo di addivenire a una cessione della quota del gruppo Borsa Italiana nel suo insieme, quindi con l’inclusione del Mercato dei Titoli di Stato (MTS). Un’alienazione che sarebbe propedeutica per ottenere il via libera dall’Antitrust europeo alla fusione con il gruppo REFINITIV, gestore di alcune piattaforme di trading che potenzialmente si sovrappongono all’MTS.

Da Euronext a DEUTSCHEBORSE

Chi sarebbero i possibili acquirenti? Alcune fonti parlano espressamente della francese Euronext, il principale mercato finanziario dell’Eurozona con più di 1.300 titoli quotati e circa 3.700 miliardi di euro di capitalizzazione, che raggruppa le Borse di Parigi , Bruxelles ed Amsterdam.

Altri ricordano che anche DEUTSCHE BORSE aveva lavorato nel passato al dossier. L’ipotesi della dismissione da parte di LSE ha immediatamente fatto evocare a più di un politico di tutti gli schieramenti l’idea di una cordata italiana. Cordata come sempre capeggiata dall’immancabile Cassa Depositi e Prestiti, che ormai è come il prezzemolo: entra in qualsiasi pietanza (economica).

Ma quasi nessuno si è posto la domanda più importante: perché nel corso degli anni la nostra Borsa ha perso peso specifico in termini di società quotate e capitalizzazione? E perché molte nostre aziende di elevato standing prediligono approdi verso mercati esteri, magari dell’Estremo Oriente, piuttosto che rimanere in Italia?

È vero che il nostro tessuto produttivo è composto in prevalenza da aziende di piccole-medie dimensioni, ma neanche il segmento borsistico ad esse dedicato pare brillare per affollamento di richieste di quotazione. Forse è giunto il momento di pensare non solo alle solite e poco fortunate cordate tricolori, ma a un modello di Mercati finanziari che ancora di più incroci la struttura produttiva del Paese. Altrimenti, in termini di volumi, rischiamo proprio di diventare la Borsa delle spezzature. Mi si passi l’ironia, ma non vorrei che lungo la discesa le “e” diventassero “a”.

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