Considerazioni scientifiche sul vaccino per il SARS-CoV-2 e analisi delle implicazioni economiche: è il momento di fare chiarezza

Di: Diana Scatozza e Andrea Panziera

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I tre vaccini per il SARS-CoV-2: facciamo chiarezza

A cura di: Diana Scatozza

Il vaccino? Ne abbiamo sentito parlare tanto e lo aspettiamo come la manna dal cielo che ha salvato il popolo ebraico, nutrendolo, dopo che si è rifugiato nel deserto per sfuggire alla persecuzione del faraone egizio. Allo stesso modo, il vaccino salverà noi, dopo che ci siamo rifugiati in casa per sfuggire alla persecuzione del SARS-CoV-2. O questo, quantomeno, è ciò che crediamo.

Al momento, i vaccini in dirittura d’arrivo sono tre e la loro entrata in scena è prevista per l’inizio del 2021, poco dopo quella dei noti Re Magi. Nell’attesa, cerchiamo di capire cosa ci aspetta, procedendo come sempre per passi.

Passo 1: perché un vaccino?

Un vaccino serve ad addestrare il sistema immunitario a lottare contro una sostanza che il corpo umano riconosce come estranea – un virus, un batterio, un parassita, un polline, ecc. – e che può causare una malattia.

Concentriamoci sui virus. Poche ore dopo una dose di vaccino, le cellule del sistema immunitario specializzate per difenderci, cioè i globuli bianchi i linfociti B e i linfociti T-, sono già attivate; cominciano quindi a produrre alcune proteine specifiche, gli anticorpi, per contrastare il virus che ci ha infettato.

Dopo circa 15 giorni, i linfociti B rilasciano nel sangue gli anticorpi specifici che 1) si legano al virus bersaglio del vaccino e 2) lo neutralizzano, per impedirgli di entrare nelle cellule umane e di infettarle. Al seguito, i linfociti T (definiti killer) entrano in gioco per eliminare definitivamente il virus.

Ma come fanno i globuli bianchi a produrre anticorpi contro quel virus specifico? I linfociti B e T imparano a riconoscere alcuni suoi elementi caratteristici, per lo più proteine presenti sulla superficie. Ergo, un vaccino è un prodotto che contiene alcuni di questi elementi caratteristici del virus bersaglio: introdotto nell’organismo, induce la produzione degli anticorpi che ci difendono da quel virus specifico, neutralizzandolo.

Passo 2: perché un virus deve entrare nelle cellule?

I virus non hanno una struttura autonoma per replicarsi; di conseguenza, per farlo devono entrare in altre cellule e servirsi delle loro strutture. In pratica, sono parassiti.

Passo 3: come mai, per debellare la pandemia, sono allo studio oltre 150 vaccini?

Sviluppare un vaccino contro il SARS-CoV-2 è complicato per diversi motivi. Prima di tutto, il modo in cui il virus ci infetta: si insedia nella mucosa del naso e della gola e ce ne accorgiamo dai sintomi otorinolaringoiatrici. Se le difese immunitarie innate del nostro organismo, quindi quelle non specifiche per il virus, lo fermano a questo primo livello, il virus rimane nel naso e nella gola e lì si esaurisce; ma se il virus non viene fermato, e ciò dipende da diversi motivi (carica virale elevata, sistema immunitario non perfettamente efficiente, ecc.), può passare nei polmoni e nel sangue, diffondendosi presso altri organi. In particolare, può coinvolgere cuore, reni, cervello e vasi sanguigni di tutto il corpo.

Pertanto, sarebbe necessario un vaccino in grado di indurre e mantenere una risposta immunitaria abbastanza forte da proteggere in modo permanente le mucose del naso e della gola. Tuttavia, a causa della scoperta recente del virus e della difficoltà di prevedere il tipo di risposta immunitaria, definire la strategia da adottare risulta decisamente complesso. È per questo che i vaccini in fase di studio sono molteplici e diversi fra loro.

Fase 4: i tre vaccini in dirittura d’arrivo

Il vaccino AstraZeneca

Il vaccino AstraZeneca è sviluppato dall’Università di Oxford in collaborazione, appunto, con la multinazionale AstraZeneca, una delle più importanti società farmaceutiche al mondo. Nome in codice: ChAdOx1 nCoV-19.

Questo vaccino è prodotto a partire da una proteina presente sulla superficie del virus SARS-CoV-2, la cosiddetta proteina spike. Il virus se ne serve per agganciare le cellule umane, entrarci e replicarsi. La proteina è trasferita in un altro tipo di virus, un adenovirus, quello che causa il normale raffreddore. Nel processo di produzione, questo virus viene indebolito, cioè trasformato in un’entità non più aggressiva per l’uomo. Iniettando l’adenovirus modificato nell’essere umano, la proteina spike, che appartiene al SARS-CoV-2, innesca la risposta immunitaria. In breve, l’adenovirus fa da trasportatore inattivo (vettore) della proteina spike del SARS-CoV-2. Il vaccino si conserva a -4°.

Il vaccino Moderna

Nome in codice: mRNA-1273. Questo vaccino, come quello di Pfizer, è tra i primi al mondo a utilizzare il codice genetico di un virus. In pratica, un frammento del materiale genetico del virus (mRNA) viene incorporato in una goccia di olio (liposoma), o nano- particella, che può essere iniettata in una persona. Moderna ha inserito nelle nano-particelle l’mRNA, che contiene le istruzioni genetiche per la produzione della proteina spike. Schematicamente: la nano-particella penetra nelle cellule del corpo umano; le cellule producono la proteina spike; e la proteina attiva la risposta immunitaria e la produzione di anticorpi specifici.

Perché l’olio? Perché le membrane delle cellule sono composte da grassi e proteine: se una sostanza deve entrare nelle cellule, deve avere la capacità di dissolversi nell’olio.

In tal caso, è l’organismo a produrre il vaccino, in quanto la proteina spike è prodotta dalle cellule del corpo umano, non introdotta dall’esterno, come nel vaccino di AstraZeneca. Questo potrebbe rendere molto più facile produrlo su vasta scala e in maniera rapida ed economica. Si conserva a -2/8 gradi, con 30 giorni di validità.

Il vaccino Pfizer

Nome in codice: BNT162b2. È sviluppato dalla Pfizer, un altro colosso farmaceutico, in collaborazione con la compagnia tedesca BioNTech. Come quello di Moderna, anche questo vaccino utilizza l’mRNA per la produzione delle proteine spike e la tecnica delle nano-particelle oleose. Sembra si debba conservare a -75°, con 30 giorni di validità.

Passo 5: come valutare l’efficacia

Possiamo valutare l’efficacia dei vaccini affidandoci alla loro percentuale di risposta, ovverosia la percentuale di soggetti vaccinati che hanno prodotto anticorpi neutralizzanti la proteina spike del virus. In altri termini, è la misura della capacità del vaccino di stimolare nei soggetti che lo hanno sperimentato la risposta dei linfociti B. Finché un soggetto produce anticorpi neutralizzanti, il virus che si deposita sulle mucose del naso e della gola non riesce a entrare nelle cellule e il soggetto non si ammala.

Quali sono le percentuali di risposta dei tre? AstraZeneca: 90-95%; Moderna: 94,5%; Pfizer/BioNTech: 95%.

Passo 6: il vaccino è sicuro? E i tempi di sviluppo?

Spieghiamo anzitutto come avviene la sperimentazione clinica. Questa (preceduta da una fase pre-clinica in cui vengono effettuati test di laboratorio che non coinvolgono l’uomo) prevede 3 fasi:

  • I: prima somministrazione del vaccino nell’uomo, in un numero limitato di soggetti, per valutare la tollerabilità e la sicurezza del prodotto;
  • II: se la fase I ha mostrato risultati positivi, il vaccino viene somministrato a un numero maggiore, ma sempre limitato, di soggetti, per valutare la risposta immunitaria prodotta, la tollerabilità, la sicurezza e definire le dosi e i protocolli di somministrazione più adeguati;
  • III: se la fase II ha mostrato risultati soddisfacenti, il vaccino viene somministrato a un numero elevato di persone per valutare la reale funzione preventiva.

Se tutte le fasi hanno dato esito positivo, il vaccino viene registrato e si procede alla produzione e alla distribuzione su larga scala.

Più ancora dell’efficacia, l’analisi della sicurezza negli studi clinici è uno degli aspetti cruciali di valutazione da parte delle agenzie di valutazione dei farmaci. Il tutto in accordo col comandamento, sembra di Ippocrate, primum non nocere.

Per l’Europa sono previsti due criteri principali: il primo è che il vaccino sia stato testato su diverse migliaia di persone; il secondo è il tempo di valutazione dei soggetti dopo la somministrazione. Secondo l’European Medicine Agency (EMA), la maggior parte delle eventuali reazioni avverse a un vaccino avviene in generale (sulla base di tutti i vaccini studiati nella storia) entro le prime 4-6 settimane dall’iniezione. Per questo, è richiesto che nelle documentazioni sulle sperimentazioni sia riportato il dettaglio clinico di tutti i pazienti inclusi negli studi clinici per un periodo di almeno 6 settimane dalla somministrazione.

I tempi di sviluppo

Per quanto riguarda i tempi, per i vaccini è stata attuata la procedura accelerata di revisione continua (rolling review), finalizzata appunto a rispondere all’emergenza sanitaria. In pratica, gli esperti delle autorità sanitarie – l’EMA per l’Europa – iniziano a valutare i dati appena sono disponibili, in modo da non accumulare tutto il lavoro nel momento in cui giungono gli ultimi documenti. Questa modalità non altera né la durata delle fasi di sperimentazione né i criteri di analisi, ma permette di ridurre i tempi di valutazione.

Passo 7: dopo il vaccino, per quanto sarò protetto?

Bella domanda. Purtroppo, al momento, non è possibile saperlo con certezza: è passato ancora troppo poco tempo da quando il virus è comparso. Ciononostante, la ricerca prosegue rapidamente e ogni giorno si aggiunge un pezzetto in più alla conoscenza.

Riassumendo (e semplificando il più possibile), sembra che gli anticorpi prodotti all’inizio dell’infezione dai linfociti B abbiano una durata limitata, di circa 4 mesi. Dopo questo tempo, la produzione di anticorpi si riduce (contrazione della risposta immunitaria) e riprende successivamente con anticorpi presenti fino a 240 giorni dall’inizio dei sintomi. Quindi, saremmo ancora protetti per circa 8 mesi. Stiamo a vedere quale dei tre vaccini sarà oro, quale incenso e quale mirra.

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Attenzione alle panacee illusorie

A cura di: Andrea Panziera

Pur essendo una materia a me del tutto ignota, in questi 10 mesi di convivenza forzata con il SARS-CoV-2 mi sono persuaso di una cosa: anche la comunità scientifica, che pure ha dispiegato tutte le sue migliori risorse intellettuali nella frenetica ricerca di un vaccino, sostenute da ingentissime risorse finanziarie come mai prima nella storia, non possiede certezze assolute sui tempi di un ritorno alla normalità, al mondo che conoscevamo prima della pandemia.

Conseguenze economico-sociali di un’ulteriore serrata

Questo diabolico patogeno, che coniuga l’elevata contagiosità a effetti devastanti sul fisico delle persone colpite, soprattutto – ma non solo – sugli individui dallo stato di salute più precario, rischia di tenerci sgradita compagnia ancora per un lungo periodo di tempo prima della sua definitiva uscita di scena.

Pensare di replicare anche in futuro la strategia della serrata, che pur si è rivelata l’arma più efficace per contrastarne la diffusione, provocherebbe danni economico-sociali paragonabili, se non superiori, a quelli di un conflitto bellico. Un duro colpo, insomma, il cui superamento richiederebbe anni, lasciando peraltro in una situazione di crisi irreversibile intere fasce della popolazione.

L’annuncio del vaccino Pfitzer-Biontech

In queste ultime settimane, in particolar modo nelle Piazze finanziarie internazionali, l’annuncio di Pfizer-Biontech sulla disponibilità a breve del vaccino ha avuto l’effetto di galvanizzare i Mercati. Questi hanno reagito con fortissimi rialzi, in alcuni casi con progressi degli indici superiori al 20% in un solo mese. A beneficiarne, come sempre in questi casi, sono stati in primis i titoli più penalizzati dall’avvento della pandemia.

Un simile clima di euforia rischia però di metter in secondo piano la vera questione: ammesso che sia possibile intraprendere in tempi relativamente brevi una strategia di vaccinazione di massa, dando per scontata la sua efficacia e trascurando altre considerazioni di carattere bioetico quali la sua disponibilità universale a prezzi accessibili, aspetto questo di cui si discute poco o nulla, come verranno rimodulate le scelte di politica economica nei prossimi mesi?

Finora, negli Stati Uniti, in Europa e in altre zone “fortunate”, la risposta è stata quella di una politica economica fortemente espansiva. Sono stati coniugati interventi di sostegno finanziario ai settori più colpiti, rafforzamento dei programmi di welfare e garanzie sui prestiti alle imprese, con un utilizzo massiccio della leva monetaria ad opera di tutte le Banche Centrali. Banche che, oltretutto, hanno letteralmente inondato di liquidità a tassi prossimi allo zero o addirittura negativi i rispettivi sistemi economici.

Una politica economica fortemente espansiva

Una stima del FMI valuta in oltre 10.000 miliardi di dollari la sommatoria degli interventi, cinque volte di più di quanto mobilitato ai tempi della grande crisi finanziaria del 2008. Per quanto riguarda l’Italia, gli interventi di contrasto alla pandemia sono nell’ordine del 6% del Pil, all’incirca 100 miliardi.

In merito all’efficacia di questi provvedimenti, soprattutto di quelli adottati a livello europeo, i dati sono sotto gli occhi di tutti. Se lo spread sui nostri BTP è a livelli mai visti nel recente passato, lo dobbiamo quasi esclusivamente al programma PEPP della BCE da 1.350 miliardi, incentrato sugli acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario.

Tutto bene, dunque?

Dal momento che queste misure sono transitorie, la domanda inevitabile riguarda la loro eventuale reiterazione nel tempo. Il consensus degli addetti ai lavori propende per un loro prolungamento, anche perché ad ora non esistono certezze sulle reali dimensioni della tanto agognata ripresa.

Tutto bene, dunque? Il rischio purtroppo è proprio questo: che si faccia strada l’idea di un proseguimento della politica delle sovvenzioni e dei sussidi all’infinito, di un soccorso della BCE pressoché eterno, di un nuovo Recovery Fund pronto a entrare in azione in caso di necessità. All’equilibrio del Bilancio dello Stato e alla sostenibilità del Debito pubblico si penserà più avanti; se questo divenisse il pensiero dominante, se si desse per scontato che le attuali misure condurranno magicamente a livelli di crescita economica tali da sanare le ferire passate e quelle presenti, beh, prevedo orizzonti non troppo sereni per il nostro futuro e soprattutto per quello delle giovani generazioni.