Nuovi studi sul DNA di Cangrande I della Scala: la sua morte si dovrebbe alla “glicogenosi II”, non all’avvelenamento da Digitalis purpurea

Di: Pierantonio Braggio

LEGGI ANCHE: “Ospiti fuori dal comune”: un Mozart straordinario

Cangrande della Scala, Signore di Verona, lasciò la vita in soli tre giorni, colpito da una malattia genetica rara a esordio tardivo: la glicogenosi tipo II. Nessun assassinio, dunque, come ritenuto per secoli.

A confermarlo le analisi – un’indagine genetica mai eseguita sul DNA di una mummia – condotte dal Laboratorio di Genomica Funzionale del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, diretto dal Professor Massimo Delledonne. Il DNA di Cangrande è stato estratto in collaborazione con il Laboratorio di Antropologia Molecolare e Paleogenetica dell’Università di Firenze, coordinato dal Professor David Caramelli e dalla Professoressa Martina Lari.

I risultati dell’indagine sono stati presentati al Museo di Storia Naturale di Verona dal sindaco Federico Sboarina e dall’assessore alla Cultura Francesca Briani. A illustrare la ricerca, come detto, i Docenti Massimo Delledonne, Alessandro Salviati e David Caramelli.

Le dichiarazioni

“Una giornata storica per la città di Verona”, ha sottolineato il sindaco Sboarina. “Attraverso uno studio genetico, è stato possibile svelare molti aspetti della vita e della morte di una delle figure storiche più importanti della nostra città. La morte di Cangrande, oggi, non è più un mistero. Contrariamente a quanto sospettato per secoli, il Signore di Verona morì per cause naturali. O, più correttamente, per una malattia genetica. Un risultato straordinario, frutto di un lavoro di squadra importante, che ha visto collaborare in stretta sinergia il Comune di Verona e le Università di Verona e Firenze”.

“Si mette così la parola fine a uno dei misteri che ancora circondano la Signoria Scaligera, la famiglia che accolse l’esiliato Dante in città e che il poeta ricorda nella Divina Commedia”, ha affermato l’Assessore Briani. “Il processo scientifico, emozionante, per la prima volta ha portato all’osservazione approfondita del DNA di Cagrande”.

Le analisi effettuate sulla mummia di Cangrande

In fatto di analisi effettuate, una prima estrazione, eseguita su frammenti di fegato, non ha reso possibile il sequenziamento clinico. A causa dell’eccessiva presenza di DNA contaminante, neppure una seconda estrazione, eseguita su un piccolo frammento di falange, ha dato risultati. Una percentuale di DNA umano più elevata, però, ha consentito di portare avanti un percorso di analisi.

Attraverso una tecnica di laboratorio attualmente utilizzata per la diagnosi clinica di pazienti affetti da malattie genetiche, il laboratorio di Genomica Funzionale dell’Università di Verona ha catturato in modo specifico circa 35 milioni di basi del DNA che contengono i geni umani, eliminando così il DNA contaminante.

Cangrande, insomma, è stato “sequenziato” alla stregua di un paziente dei nostri giorni; e l’analisi bioinformatica degli 83 milioni di sequenze prodotte ha portato alla ricostruzione del 93.4% dei suoi geni. Un valore davvero molto elevato. Si sono poi identificate 249 varianti associate a malattie, da cui è stato possibile riconoscere due mutazioni diverse nel gene dell’enzima lisosomiale α-glucosidasi acida. Proprio da queste deriva la glicogenosi, in questo caso glicogenosi tipo II, causa del decesso del signore di Verona.