L’agenzia Fitch ha appena rialzato il rating del nostro Paese, mantenendo stabile l’ outlook. Contestualmente, ha rivisto in senso positivo le previsioni sulla crescita economica italiana

Di: Andrea Panziera

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Rating? Sì, grazie. L’agenzia Fitch ha appena rialzato il rating del nostro Paese, portandolo da BBB- a BBB, mantenendo stabile l’ outlook. Contestualmente ha rivisto in senso positivo le previsioni sulla crescita economica italiana, stimandola al +6,2% del PIL.

Questo giudizio non è un canto fuori dal coro ma fa seguito ad altri, parimenti favorevoli e di analoga autorevole provenienza, tra i quali segnalo quello di S&P dello scorso 22 ottobre. I biliosi e i complottisti di ogni tipo e colore se ne facciano una ragione: il consensus internazionale, l’unico che conta riguardo la attestazione di affidabilità del nostro sistema Paese, è compatto nel percepire una svolta evidente rispetto al passato, ovviamente in direzione migliorativa.

In questi mesi ho letto di tutto e di più, a dispetto dei segnali evidenti che arrivavano dal contesto economico. Autoritarismo, congiura dei potentati finanziari, trame di oscure lobby non meglio identificate, svendita al nemico (quale?) di alcune nostre aziende strategiche, impoverimento drammatico della Nazione e via discorrendo. Tutte le statistiche che attestavano il contrario erano da buttare al macero, in quanto palesemente manipolate e costruite ad arte per ingannare la popolazione. Insomma, un mega complotto ordito da forze contrarie all’italico interesse con la connivenza dell’attuale Governo (soprattutto nella persona del suo massimo esponente) colpevole di alto tradimento.

Siamo persino arrivati alla messa all’indice di illustri opinioni che hanno il torto di descrivere l’Italia come un esempio virtuoso da seguire in questa tribolata contingenza. Ritengo che costituisca un esercizio inutile controbattere con la chiara evidenza dei numeri ad accuse deliranti e quindi mi asterrò dal farlo. Mi limito solo ad osservare che non ho visto circolare, da parte di questa variopinta congerie di “fieri” oppositori, uno straccio di proposta minimamente credibile o appena perseguibile nell’attuale contesto europeo ed internazionale. A meno di non voler ipotizzare palingenesi del tutto inverosimili e decisamente pericolose.

Ciò premesso, lungi dal voler affermare che la strada verso il risanamento del nostro Paese ormai è tutta in discesa, ritengo che l’autorevolezza (e il condiviso stato di necessità) di questo Esecutivo non debba essere messa in discussione da questioni che potrebbero rappresentare un ostacolo alla sua durata ed al compito che gli è stato assegnato. Mi riferisco in primis al dibattito, ormai fastidioso refrain quotidiano, sulla prossima elezione del nuovo Capo dello Stato e sulle sue conseguenze. Ritengo che in questo momento un cambio di cavallo alla guida del Governo comporterebbe rischi difficilmente calcolabili e quindi andrebbe sgombrato quanto prima il campo da questo argomento. Esistono personalità di indubbio prestigio in entrambi gli schieramenti; si trovi un nome che sia garanzia di equilibrio ed equidistanza fra le forze politiche e agevoli la prosecuzione del Premier e dei suoi Ministri nel loro lavoro senza scossoni.

Le sfide che ci attendono nei prossimi mesi non sono né facili né di breve durata. Nei miei recenti contributi ho a più riprese individuato nella crescita dell’inflazione la più insidiosa fra queste. Dopo un quasi generale approccio minimalista, con il quale la sua impennata veniva derubricata come un fenomeno passeggero destinato a rientrare in qualche mese, ora i pareri si sono fatti più cauti ed anche i Mercati iniziano a percepire che le prospettive di un suo ritorno a livelli meno “caldi” non appaiono proprio dietro l’angolo. Le cause sono note, ma questo purtroppo non significa che si possano risolvere in tempi brevi.

A conferma di ciò, il Presidente della FED Powell in una recentissima audizione ha definitivamente accantonato l’ipotesi di una transitorietà dell’aumento dei prezzi e nel contempo ha deciso di avviare un’indagine da parte della Autorità Antitrust per valutare possibili comportamenti distorsivi e anticoncorrenziali nella supply chain americana. Parimenti, le speranze di un incremento della estrazione di greggio da parte dei principali produttori allo scopo di calmierare il prezzo al barile non paiono prossime ad essere esaudite.

Quali ripercussioni sulla crescita economica globale ( e su quella italiana) possa avere il combinato effetto dei colli di bottiglia nell’offerta di merci e del rincaro delle materie prime è allo stato difficile da prevedere. L’OCSE avanza stime prudenziali, ma significative: un punto e mezzo in meno per la Germania, mezzo punto per il Giappone e frazionali revisioni al ribasso per altri Paesi. E noi ? Per il momento l’impatto sembra contenuto e vengono confermate tutte le ipotesi di aumento del PIL finora espresse. Però…

Però traspare in tutti i report una condizionalità; o meglio due, intimamente connesse l’una con l’altra. In primis la stabilità del Governo, presupposto ritenuto non derogabile per riuscire a portare a compimento tutta la serie di riforme strutturali che ci siamo impegnati ad attuare. Poi, la qualità della spesa riveniente dai Fondi erogati con il Next Generation EU e, più in generale, il contenimento di quella corrente a vantaggio degli investimenti. Purtroppo la tentazione di interventi spot, disorganici ma emblematici per questa o quella forza politica, fa parte del nostro portato storico – culturale e frenarne la moltiplicazione non è impresa agevole. La eterogeneità della maggioranza agevola questo modus operandi ed il compito di frenare l’assalto all’inesistente Pozzo di S. Patrizio richiede un’abilità mediatoria non comune.

Per questo non è possibile prescindere da una figura “super partes”. La quale figura ha il compito di canalizzare tutti gli interventi economici, inclusi quelli di sostegno alle categorie maggiormente colpite dalla contingenza pandemica, all’interno di un quadro complessivo di riforme che prefiguri una visione di sviluppo duraturo, equo e sostenibile, in tutte le possibili accezioni di questi tre aggettivi. Se quest’ultimo è l’obiettivo, e ritengo che non possano sussistere molti dubbi in proposito, mi chiedo se non sia il caso di riscoprire, casomai in forma riveduta e corretta , la vecchia “Politica dei Redditi”.

Come noto, nella sua scrittura classica, consiste nell’istituzionalizzare il metodo della concertazione fra le parti sociali, con il Governo in funzione di arbitro. Lo scopo è quello di contrastare la crescita dell’inflazione attraverso il controllo da una parte, dei salari percepiti dai lavoratori ancorandoli alla produttività e dall’altra, dei profitti di pertinenza degli imprenditori con un mirato utilizzo delle politiche fiscali. Forse mi sbaglio, ma ho l’impressione che l’approccio adottato in questi mesi vada esattamente in questa direzione.

Se così fosse il futuro del Paese potrebbe essere meno problematico, pur nella consapevolezza che il cammino che porta al risanamento non più differibile dei Conti Pubblici ed alla conseguente stabilità economica non sarà né breve né agevole.