Onore al merito, sì, ma quale? Nell’odierno Lampi News, un concetto in apparenza da tutti condiviso e nella pratica quasi totalmente disapplicato

Di: Andrea Panziera

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Onore al merito, sì, ma quale? A mio avviso non esiste concetto in apparenza da tutti condiviso e nella pratica quasi totalmente disapplicato come quello di “merito”. Per non parlare della sua estensione, la c.d. “meritocrazia”. Trattasi ad ogni evidenza di una parola soggetta ad alto tasso di manipolazione, tirata da una parte e dall’altra a seconda del contesto e delle convenienze di chi se ne nutre avidamente e la ripropone ad ogni piè sospinto come un esclusivo fiore all’occhiello.

Per i pochi o molti che non ne fossero a conoscenza, il termine fu inventato nel 1958 da Michel Young, in un suo celeberrimo libro (The Rise of Meritocracy ). Young era un socialista, consulente in strategie politiche; il suo obiettivo era quello di superare il classismo imperante nel sistema scolastico anglosassone promuovendo un modello di istruzione che premiasse i talenti, a prescindere dalla loro condizione sociale.

Per lui il paradigma che faceva la differenza era il QI, il quoziente intellettivo. Questa visione nel corso degli anni divenne per lui una sorta di persecuzione intellettuale, perché nelle sue estreme conseguenze portava inevitabilmente ad una divisione della società fra una elite culturale dominante ed una maggioranza della popolazione in una posizione perennemente subalterna, se non proprio di serie B.

Quasi per l’inevitabile legge del contrappasso, quello a cui stiamo assistendo in questi anni è l’appropriazione della parola “meritocrazia” da parte di coloro i quali nella prosa di Young sarebbero stati considerati gli esclusi, i non attrezzati all’assunzione di posizioni di “faro cognitivo”. Il Sapere viene sempre più spesso derubricato come una trasmissione di nozioni veicolate dai social network, a prescindere dalla provenienza delle fonti e da ogni verificabilità scientifica o numerica.

L’ammontare delle condivisioni (e dei like) fa premio su qualsiasi altra considerazione. Le analisi, gli approfondimenti, gli studi accademici sono considerati in molti casi alla stregua di un fastidioso orpello, il vetusto portato di altezzosi professoroni che non si rassegnano al nuovo che avanza. Insomma, una Cultura alla portata di tutti, popolare nel linguaggio e quindi facile da capire, democratica perché condivisa da milioni di utenti. Riguardo l’attendibilità e la profondità dei contenuti, beh, è un altro discorso.

Ma, mi chiedo, è proprio così difficile ipotizzare una società che abbia fra i suoi obiettivi primari una selezione meritocratica non posticcia, che premia i talenti (quelli veri), che garantisce pari opportunità di successo a prescindere dalle condizioni di partenza? Insomma, la realizzazione di un effettivo “ascensore sociale” non sarebbe da considerarsi una grande conquista democratica, uno dei primi doveri della Politica ? E fra tutti i modelli esistenti, a quali bisogna guardare ?

Probabilmente non agli Stati Uniti, perché lì la competizione è un fattore importante in termini di efficienza ed efficacia, ma prescinde da qualsiasi criterio in merito alle reali pari opportunità iniziali. Verosimilmente, le democrazie scandinave per alcuni versi si avvicinano maggiormente ad una compiuta realizzazione del concetto di contrasto delle sproporzioni economiche di partenza.

A mio avviso, anche la definizione della parola “merito” dovrebbe prevedere una sua rivisitazione, essere più estensiva aldilà delle ovvie ed inevitabili connotazioni economiche. Penso ad esempio all’importanza che rivestono certe mansioni o lavori non apicali, senza i quali anche le c.d. “eccellenze” non sarebbero tali.

Penso al settore dei servizi, e tra questi all’Istruzione, che dovrebbe essere l’asse portante di ogni sistema socio-economico con una visione orientata al futuro.

Dunque, onore al merito sì. Dare a tutti le stesse chances, creare un clima di sana competizione, predisporre adeguati parametri di verifica delle attività svolte e sulla base di criteri oggettivi premiare le competenze. Impossibile ? Io ci credo ma lascio ai lettori ogni altra considerazione in proposito.